La mia amica Elena e il giovane idraulico
Tutti coloro che avevo considerato come degli amici, svanirono nel nulla scaricandomi come se fossi un pacco troppo ingombrante.
Tutti tranne lei, Elena.
Era bella, con gli occhi vivaci. Una bella donna piena di vita, dei capelli lunghi, chiari, quasi dorati. Era bella, anche se a qualcuno poteva non piacere. Ma aveva degli occhi furbi, come quelli di una tipica ragazza che incontri per strada, con cui è naturale scambiare un sorriso anche senza necessariamente conoscersi.
Ci conoscevamo da sempre, dai tempi del catechismo forse. Ci eravamo ritrovati nel medesimo gruppo di ragazzini e insieme avevamo fatto la prima comunione.
Don Davide, il parroco di allora, era davvero in gamba e ci sapeva fare con le persone, soprattutto con i ragazzi. Con la sua umanità ci aveva coinvolti assieme ad altri giovani del gruppo nell’avventura del volontariato.
Così ci eravamo confrontati con i problemi del quartiere dedicando tempo ed energie ai ragazzi più piccoli che frequentavano la parrocchia. L’affrontare insieme le difficoltà proprie e degli altri, aveva contribuito a cementare l’amicizia tra me ed Elena.
A rendere più forte il nostro legame contribuì anche l’aver frequentato assieme la scuola. Cinque anni nella stessa classe, compagne di banco al liceo classico.
Da allora avevamo condiviso una parte della nostra vita.
Il volontariato. La scuola.
Le prime cotte. Le prime delusioni.
Per lei avevo una ammirazione inconscia perché ero convinta, che la mia migliore amica riuscisse a vedere nelle cose banali, quello che agli altri sfuggiva.
Per questo non riuscivo a perdonarmi quel torto che le avevo fatto.
Certo poteva avere un’importanza irrilevante dopo la sua separazione.
Ma quell’ossessione mi tormentava.
Col tempo eravamo diventate molto più che amiche e meglio di due sorelle.
Elena era bella, una bella donna, probabilmente anche più di me e anche se impegnata non si lasciava perdere occasione per godersi i piaceri della vita, come li definiva spesso lei.
Una sera, mezze brille, Elena mi raccontò quello che era successo qualche giorno prima con il suo idraulico. Lo aveva chiamato una mattina mentre preparava una tazza di latte.
Aveva sentito uno strano odore che sembrava come una perdita di gas.
Gli disse, per sicurezza, di girare la leva gialla del rubinetto sotto il lavello, che l’indomani avrebbe mandato qualcuno a verificare.
Erano le otto del mattino quando sentì suonare il campanello. Ancora assonnata, solo dopo il secondo suono realizzò che fosse il campanello e si alzò.
Era nuda, come sua abitudine dormire.
Si mise addosso la camicia in cotone bianco che aveva nell’armadio e andò ad aprire la porta.
Non era certo di bell’aspetto pensò appena sveglia, visto che la sera prima era rientrata alle due di notte e si era spogliata e praticamente buttata esausta sul letto.
Nonostante ciò quel ragazzo poco meno che ventenne, davanti a quella porta appena aperta, inumidendosi le labbra e deglutendo a vuoto, riuscì con difficoltà a salutare e a presentarsi come il collaboratore del suo idraulico.
Lo accompagnò in cucina e lui si mise a spostare il contenitore dell’umido e quei detersivi che vi erano sotto il lavello per poter verificare. Gli chiese gentilmente una spugnetta e del detersivo dei piatti.
Lei stava ormai iniziando a connettere, grazie anche a quel caffè appena fatto con ben due cialde, quando fu incuriosita da quello che vedeva e soprattutto era curiosa di capire a cosa servisse quella schiuma che aveva appena fatto.
Si mise in ginocchio accanto a lui e chiese cosa stesse facendo. Notò che aveva un buon profumo, forse era solo deodorante, ma le piaceva.
Anche se imbarazzato dalla sua avvenente presenza e dal suo abbigliamento succinto, iniziò prodigo la spiegazione con tanto di dettagli. Ovviamente erano più le sbirciatine che dava al suo seno che le spiegazioni tecniche che cercava di argomentare.
Lei aveva scopato qualche sera prima ma quella strana situazione le mise un’eccitazione dentro che non riusciva e non voleva certo allontanare.
Poteva essere quell’imbarazzo mescolato a desiderio, di un ragazzino nei confronti di una donna molto più matura di lui.
Il problema era che la schiuma non evidenziava alcuna perdita di gas, nonostante il forte odore che anche lui percepiva.
Quel ragazzo, se pur giovane, conosceva già il suo mestiere, così si infilò più in fondo, sotto, dentro il mobile del lavandino.
Vide a terra, sotto il ripiano del mobile del lavello, un pezzo di cavolo ormai imputridito. Probabilmente era caduto dalla pattumiera da diverso tempo e creava quel cattivo odore, molto simile a quello del gas.
In quella posizione però, il sedere statuario di quel ragazzo si mostrò in tutta la sua prorompente forma a Elena, che non riuscì a fare a meno di apprezzarlo con una bella palpatina.
Sorpreso da quel gesto, se pur sognato ma inaspettato, d’istinto ebbe un sussulto che gli fece sbattere la testa sotto il lavello.
Lei si mise a ridere, divertita da quella situazione.
Si alzò e lui venne fuori da sotto quel lavello agevolmente senza la sua ingombrante presenza.
Lei gli sorrise, gli fece un cenno con la mano di seguirla nella camera da letto. Il letto era ancora disfatto, le tapparelle ancora chiuse lasciavano filtrare qualche filo di luce. A terra, sparsi, vi erano i vestiti che la sera prima spogliandosi aveva lasciato. Lei si tolse la camicia da notte lasciandola cadere alle sue spalle e si distese nuda sul letto invitandolo a spogliarsi.
Lui tolse lentamente la maglietta, leggermente sudata più per le emozioni e per l’eccitamento che per il lavoro appena svolto, la fece roteare un paio di volte e la lanciò su un comodino. Aveva un bel fisico, non era tipo da palestra ma l’assenza di un filo di pancetta gli donava.
Elena annuii con il capo apprezzando lo spettacolo appena iniziato ma, con gesti teatralmente sensuali, dopo aver lubrificato un dito della sua mano in bocca e con un sorriso caldo e coinvolgente, gli indicò quello che desiderava realmente.
Lui capì al volo che sullo spogliarello era meglio sorvolare, si tolse velocemente i pantaloni, si abbassò i boxer neri che indossava lasciandoli cadere a terra e si lanciò sul letto.
Per la fretta quasi inciampò ma la sua testa si infilò rapidamente tra quelle gambe aperte, iniziando un abile lavoro con la lingua. Anche se giovane, il ragazzo a letto ci sapeva fare e lei decise, per quella volta, di lasciargli fare godendosi il servizio.
“Come sempre sei una grandissima troia”, gli dissi mentre ascoltavo attentamente quel racconto appassionato. “E scommetto che ti sei fatta lasciare direttamente il suo telefono”, continuai.
“Ovviamente”, rispose Elena, “e se vuoi te lo passo, così potrai farti una ripassatina che mi sembra tu ne abbia bisogno ultimamente”.
Era questa Elena. Ridemmo come matte entrambe e ordinammo un altro giro di gin con zenzero e cetriolo.
La storia è tratta dal mio nuovo libro L'inconsapevole verità di Fulvio Vanni disponibile su amazon
Tutti tranne lei, Elena.
Era bella, con gli occhi vivaci. Una bella donna piena di vita, dei capelli lunghi, chiari, quasi dorati. Era bella, anche se a qualcuno poteva non piacere. Ma aveva degli occhi furbi, come quelli di una tipica ragazza che incontri per strada, con cui è naturale scambiare un sorriso anche senza necessariamente conoscersi.
Ci conoscevamo da sempre, dai tempi del catechismo forse. Ci eravamo ritrovati nel medesimo gruppo di ragazzini e insieme avevamo fatto la prima comunione.
Don Davide, il parroco di allora, era davvero in gamba e ci sapeva fare con le persone, soprattutto con i ragazzi. Con la sua umanità ci aveva coinvolti assieme ad altri giovani del gruppo nell’avventura del volontariato.
Così ci eravamo confrontati con i problemi del quartiere dedicando tempo ed energie ai ragazzi più piccoli che frequentavano la parrocchia. L’affrontare insieme le difficoltà proprie e degli altri, aveva contribuito a cementare l’amicizia tra me ed Elena.
A rendere più forte il nostro legame contribuì anche l’aver frequentato assieme la scuola. Cinque anni nella stessa classe, compagne di banco al liceo classico.
Da allora avevamo condiviso una parte della nostra vita.
Il volontariato. La scuola.
Le prime cotte. Le prime delusioni.
Per lei avevo una ammirazione inconscia perché ero convinta, che la mia migliore amica riuscisse a vedere nelle cose banali, quello che agli altri sfuggiva.
Per questo non riuscivo a perdonarmi quel torto che le avevo fatto.
Certo poteva avere un’importanza irrilevante dopo la sua separazione.
Ma quell’ossessione mi tormentava.
Col tempo eravamo diventate molto più che amiche e meglio di due sorelle.
Elena era bella, una bella donna, probabilmente anche più di me e anche se impegnata non si lasciava perdere occasione per godersi i piaceri della vita, come li definiva spesso lei.
Una sera, mezze brille, Elena mi raccontò quello che era successo qualche giorno prima con il suo idraulico. Lo aveva chiamato una mattina mentre preparava una tazza di latte.
Aveva sentito uno strano odore che sembrava come una perdita di gas.
Gli disse, per sicurezza, di girare la leva gialla del rubinetto sotto il lavello, che l’indomani avrebbe mandato qualcuno a verificare.
Erano le otto del mattino quando sentì suonare il campanello. Ancora assonnata, solo dopo il secondo suono realizzò che fosse il campanello e si alzò.
Era nuda, come sua abitudine dormire.
Si mise addosso la camicia in cotone bianco che aveva nell’armadio e andò ad aprire la porta.
Non era certo di bell’aspetto pensò appena sveglia, visto che la sera prima era rientrata alle due di notte e si era spogliata e praticamente buttata esausta sul letto.
Nonostante ciò quel ragazzo poco meno che ventenne, davanti a quella porta appena aperta, inumidendosi le labbra e deglutendo a vuoto, riuscì con difficoltà a salutare e a presentarsi come il collaboratore del suo idraulico.
Lo accompagnò in cucina e lui si mise a spostare il contenitore dell’umido e quei detersivi che vi erano sotto il lavello per poter verificare. Gli chiese gentilmente una spugnetta e del detersivo dei piatti.
Lei stava ormai iniziando a connettere, grazie anche a quel caffè appena fatto con ben due cialde, quando fu incuriosita da quello che vedeva e soprattutto era curiosa di capire a cosa servisse quella schiuma che aveva appena fatto.
Si mise in ginocchio accanto a lui e chiese cosa stesse facendo. Notò che aveva un buon profumo, forse era solo deodorante, ma le piaceva.
Anche se imbarazzato dalla sua avvenente presenza e dal suo abbigliamento succinto, iniziò prodigo la spiegazione con tanto di dettagli. Ovviamente erano più le sbirciatine che dava al suo seno che le spiegazioni tecniche che cercava di argomentare.
Lei aveva scopato qualche sera prima ma quella strana situazione le mise un’eccitazione dentro che non riusciva e non voleva certo allontanare.
Poteva essere quell’imbarazzo mescolato a desiderio, di un ragazzino nei confronti di una donna molto più matura di lui.
Il problema era che la schiuma non evidenziava alcuna perdita di gas, nonostante il forte odore che anche lui percepiva.
Quel ragazzo, se pur giovane, conosceva già il suo mestiere, così si infilò più in fondo, sotto, dentro il mobile del lavandino.
Vide a terra, sotto il ripiano del mobile del lavello, un pezzo di cavolo ormai imputridito. Probabilmente era caduto dalla pattumiera da diverso tempo e creava quel cattivo odore, molto simile a quello del gas.
In quella posizione però, il sedere statuario di quel ragazzo si mostrò in tutta la sua prorompente forma a Elena, che non riuscì a fare a meno di apprezzarlo con una bella palpatina.
Sorpreso da quel gesto, se pur sognato ma inaspettato, d’istinto ebbe un sussulto che gli fece sbattere la testa sotto il lavello.
Lei si mise a ridere, divertita da quella situazione.
Si alzò e lui venne fuori da sotto quel lavello agevolmente senza la sua ingombrante presenza.
Lei gli sorrise, gli fece un cenno con la mano di seguirla nella camera da letto. Il letto era ancora disfatto, le tapparelle ancora chiuse lasciavano filtrare qualche filo di luce. A terra, sparsi, vi erano i vestiti che la sera prima spogliandosi aveva lasciato. Lei si tolse la camicia da notte lasciandola cadere alle sue spalle e si distese nuda sul letto invitandolo a spogliarsi.
Lui tolse lentamente la maglietta, leggermente sudata più per le emozioni e per l’eccitamento che per il lavoro appena svolto, la fece roteare un paio di volte e la lanciò su un comodino. Aveva un bel fisico, non era tipo da palestra ma l’assenza di un filo di pancetta gli donava.
Elena annuii con il capo apprezzando lo spettacolo appena iniziato ma, con gesti teatralmente sensuali, dopo aver lubrificato un dito della sua mano in bocca e con un sorriso caldo e coinvolgente, gli indicò quello che desiderava realmente.
Lui capì al volo che sullo spogliarello era meglio sorvolare, si tolse velocemente i pantaloni, si abbassò i boxer neri che indossava lasciandoli cadere a terra e si lanciò sul letto.
Per la fretta quasi inciampò ma la sua testa si infilò rapidamente tra quelle gambe aperte, iniziando un abile lavoro con la lingua. Anche se giovane, il ragazzo a letto ci sapeva fare e lei decise, per quella volta, di lasciargli fare godendosi il servizio.
“Come sempre sei una grandissima troia”, gli dissi mentre ascoltavo attentamente quel racconto appassionato. “E scommetto che ti sei fatta lasciare direttamente il suo telefono”, continuai.
“Ovviamente”, rispose Elena, “e se vuoi te lo passo, così potrai farti una ripassatina che mi sembra tu ne abbia bisogno ultimamente”.
Era questa Elena. Ridemmo come matte entrambe e ordinammo un altro giro di gin con zenzero e cetriolo.
La storia è tratta dal mio nuovo libro L'inconsapevole verità di Fulvio Vanni disponibile su amazon
5 years ago