Scritto da me: LA PIAZZA DI SPISSKA SOBOTA

Il cuc racconta vicende di svariati anni fa.
IL RACCONTO E’ DI PURISSIMA FANTASIA
chi credesse di riconoscervisi si faccia curare
egocentrismo e megalomania;
anche i luoghi citati sono puramente immaginari.









CAPITOLO PRIMO: PRESENTAZIONI


Abito con la mia giovanissima moglie in un nostro alberghetto sito su un lato lungo della magnifica piazza di Spisska Sobota: come molti sanno si tratta di una piazza oblunga da est ad ovest, alberata al centro; negli anni scorsi sono state aperte su questa piazza, davvero estremamente graziosa e ben conservata dal 16esimo secolo, molte attività di pensione/albergo, ma l'attuale crisi economica, riducendo il movimento turistico, ha purtroppo ridotto al minimo la redditività del settore: per fortuna, almeno noi, disponiamo di redditi d'altra fonte e soprattutto non ci siamo indebitati per comprare il fabbricato e risistemarlo.
La mia attuale mogliettina mi fu presentata dal vecchio proprietario di una pensione situata proprio dirimpetto alla nostra, dove di venerdì e sabato sera, in uno spazio sotterraneo a volta, si attiva una piccola discoteca: io ero lì a chiacchierare con lui e me la presentò; compresi subito che era una ragazza di gusti complementari ai miei, perchè i capelli colorati alternativamente a ciocche azzurre e verdi e l'abbigliamento “gotico” con un corpetto di solo pizzo che ne lasciava intravedere i capezzoli, la qualificavano come una bellezza alternativa.
Venne a vivere da me dopo solo una settimana dacchè ci eravamo conosciuti, avendo urgenza di andarsene dalla casa della madre e dell’allora convivente di questa, con cui coltivava cattivi rapporti.
L'unica doppia domanda che mi aveva rivolto la sera stessa, in quella discotechina, era se io non sono un tipo possessivo (leggasi "geloso") e se, in relazione a ciò, mi piaceva il S/M: alla mia doppia risposta affermativa, aveva soggiunto che lei era la schiava di Pavol, il proprietario della Pensione medesima.
Aveva subito trasferito a casa mia il suo abbigliamento, dove tranne un paio di jeans, due magliette ed un giubbetto anonimo, non c'era nulla che non fosse atto a attirare l'attenzione di chi la incrociasse per via.
Debbo immediatamente chiarire che in questi mesi è accaduto più volte che lei ed io fossimo già coricati alla sera, soprattutto quando avevamo scelto di trascorrere la giornata sui Tatra che sovrastano, a pochi chilometri, casa nostra, e che le sia giunta una telefonata di Pavol: le dice che vuole vederla subito e le precisa come deve essere abbigliata per recarsi da lui, al di là della piazza.
Settimana scorsa, per esempio, l'ha chiamata, mentre stavamo a chiacchierare commentando l'imminente chiusura della stagione, perchè, onde non disturbare la fauna selvatica e particolarmente gli orsi, percorrere i sentieri sarà vietato già da lunedì prossimo. Lui l’ha chiamata, lei l’ha ascoltato, ha chiuso, mi ha detto "Vado da Pavol", senza specificare altro, si è infilata delle ciabatte nere con zeppe altissime e, completamente nuda, si è infilata un soprabito di pelle nera, lungo sino alle caviglie.
Poi lei ha acceso il mio cellulare, depositato sul cassettone, che io alla sera di regola spengo, dirottando le chiamate alla segreteria.
Stava già uscendo, quando è tornata indietro, per allacciarsi uno dei suoi collarini neri borchiati.
Io mi sono addormentato tranquillo poco dopo, avendo sbirciato dalla finestra della camera al primo piano che attraversava come al solito la piazza deserta.
Dopo un paio d'ore mi è arrivata una chiamata che mi ha svegliato, con lei che mi dice di star pronto a scendere ad aprirle il portoncino: penso che abbia scordato la chiave della serratura che peraltro si chiude dall’esterno a s**tto, ma mi chiarisce di no, ribadisce di scendere quando arriva, ma, sottolinea, completamente nudo, come abitualmente mi corico.
So che il nostro personale (una coppia) è già a sua volta coricato e comunque essi sanno benissimo tutto dei nostri stili di vita ed ovviamente sanno che non è compito loro interferire. Così scendo a piano terreno nell’androne e socchiudo la porticina inserita nel grosso portone a due ante, spiando fuori il suo arrivo con lo sporgere la sola testa inclinata: arriva, mi sorride leziosa, fermandosi ad un paio di metri e chinando il capo di lato come per imitare la mia postura, e mi spiega: "Vuole che ti faccia un pissing qui, sul tombino"; lui credo che ci osservi dalla finestra là di fronte, ma non ho modo di sincerarmene.
Mi guardo intorno un po' perplesso: è bensì vero che a quest'ora non è visibile in tutta la piazza nemmeno un cane randagio, ma se qualche befana o qualche rompis**tole professionale ci vedesse dalla finestra perchè soffre d'insonnia, potrebbe crearci qualche fastidio.
Comunque dopo l’inevitabile attimo di esitazione mi inginocchio sopra il grosso tombino, completamente in granito, ed aspetto il getto; "No certo” esclama, “prima mi pulisci la sborra, poi piscio! E togliti gli zoccoli!". Ovvio: solo il sonno interrotto poco fa giustifica che, imbesuito, non lo avessi intuito subito da me.
Procede quindi dopo la mia leccata ad irrorami faccia e corpo. Ora sono quasi sicuro che da dietro una finestra, di fronte a noi, Pavol stia controllando.
Mi rialzo, scrollandomi di dosso le ultime gocce, sono infreddolito e rientriamo in casa; salgo in camera e mi dirigo intirizzito alla doccia "No, ha detto che stasera non ti lavi, e dormi sullo scendiletto".
Buffa questa schiavitù per interposta persona!
Quindi mi asciugo alla bell'e meglio e mi sdraio, certo che non dormirò gran che.
Così è andata la notte.



CAPITOLO SECONDO: LA POLIZIA


L'altro ieri, mentre sono nell’ufficio al primo piano, intento a lamentarmi con un fornitore e di pessimo umore perchè un conto di due mesi fa, pagato da un cliente con carta di credito, è risultato scoperto, mi chiama la cameriera dal bar/ristorante, per dirmi che c'è giù la polizia che vuole parlarmi; io non ripenso subito al pissing sul tombino.
Arrivo giù e mi trovo davanti una polizzziotta della polizia urbana (ma poi appurerò non di questo comune), ma da sola: strano perchè tutti anche qui sanno che i poliziotti girano a tre a tre (uno sa leggere, uno sa scrivere e il terzo deve tenere d'occhio i due intellettuali). Apprezzerei di più la sua visita se non temessi qualche grana, visto che è una super polizzziotta, alta, massiccia e con due tettone smisurate, benchè evidentemente giovanissima.
Si siede ad un tavolino e mi racconta che è stata compagna di scuola di mia moglie. "Ahhh" sorrido, pensando che forse non si tratta di una qualche grana.
Mi chiede se so che due settimane fa l'ha riaccompagnata a casa, perchè trovata in una discoteca della vicina città di Poprad assieme ad un ragazzo di colore, arrestato perchè aveva con sè una decina di spinelli e qualche pasticca. (Preciso che la città di Poprad è tanto vicina al nostro paese che questo ne è ad ogni effetto soltanto un sobborgo: d'altra parte qui non c'è nemmeno una bottega e noi tutti i giorni scendiamo normalmente in città.)
Lenka, mia moglie, me l'ha raccontato per filo e per segno: Pavol l'ha chiamata quella sera e le ha detto di raggiungerlo; ma da lui ha avuto la sorpresa che, anzichè dedicarsi a qualche giochetto, le ha detto di accompagnare questo ragazzo in disco e poi tornare alla sua Pensione onde trascorrere la notte con quello. Il giorno dopo Pavol, saputo della vicenda notturna, si era quasi scusato: una cosa è il s/m, un'altra frequentare giri di spacciatori. Lui quello doveva solo ringraziarlo per avergli procurato il contatto con una coppia anziana che vendeva un armadio antico (la sua pensione è intieramente arredata in stile antiquario) e del tipo ignorava peraltro tutto. Del resto che Pavol faccia scopare Lenka da estranei non è certo una novità e a lei piace moltissimo sentirsi sbattere forte dagli sconosciuti, perchè con Pavol è sostanzialmente in amicizia, mentre solo così, con gli altri, riesce a percepire se stessa come autentica troiaccia;quelli di lei se ne fregano e vogliono solamente godere.
Così la polizzziotta aveva preso l'iniziativa di riaccompagnare a casa l'ex compagna di scuola, anzichè costringerla a chiamare un taxi.
Bene, e allora?
E salta fuori la faccenda del pissing sul tombino.
Io però so benissimo che rischio solo una sanzione amministrativa di un centinaio di euro, ammesso di trovare qualche idiota disposto a testimoniare che in piena notte ci siamo sollazzati sul tombino fuori dal nostro portoncino. Ma il fatto che questa tipa sia venuta da me da sola mi fa subodorare subito che voglia qualcosa d'altro. Quindi aspetto paziente che esca allo scoperto.
Viceversa quella, si chiama Marta, mi dice chiaramente che lei pensa che chi si rivolge alla polizia perchè due si stanno pisciando addosso nella notte sia solo un rompicazzo. Siamo pienamente d'accordo.
Abbozzo la richiesta di sapere chi ha chiamato, ma lei ovviamente replica che questo non può dirmelo. "Già," ribatto "ma se io negassi quello dovrebbe necessariamente uscire allo scoperto per testimoniare". Almeno, celio, mi dica da che lato della piazza ha sbirciato, così la prossima volta saprò da che parte girarmi perchè non ci veda.
Ma Marta mi spiazza, replicando:
"No, queste cose è meglio farle in campagna!"
ad onor del vero mi sarei aspettato che dicesse "in casa propria": buffo!
Chiede quindi se Lenka c'è, ma Lenka è scesa in città per comprarsi qualcosa di trucco. "Allora torno una di queste sere, quando sono di pattuglia, per parlarle." "Bene, arrivederci" rispondo; mi sembra di capire che la faccenda del pissing sulla piazza non sia per lei la questione centrale.
Ed è così che ieri sera verso le nove la polizzziotta è passata in albergo, mentre con Lenka stavo mangiando un gelatino ai mirtilli (fatto da noi, con mirtilli raccolti da noi, alla faccia del Parco Nazionale): quando è entrata, Marta ci ha salutati e si è seduta a capo del nostro tavolino (tutto in abete naturale a vista); un semplice ciao, uno scambio di bacetti con Lenka e chiede se mia moglie può venire via con lei, che me la riporta entro un paio d'ore. Sarei tentato di obiettare sarcastico "E se Pavol ti cercasse??", ma saggiamente me ne sto zitto.
Così le due escono (Lenka indossa un vestitino nero con inserti rossi, pieno di pizzi e scarpe nere col tacco, Marta è in uniforme, con gonna e giacca) e le vedo salire su un'auto col il lampeggiante spento sul tetto, che parte subito; ho notato che non solo Lenka ma anche Marta è salita dietro, ma non ho visto chi fosse alla guida.
E me ne vado a dormire, dopo aver cercato invano un programma televisivo che non sia per subnormali.
Mi sveglio verso le quattro e, notando che sono ancora a letto solo, mi allarmo un pizzico: accendo il cellulare e provo a chiamarla, ma ho la sorpresa che sento suonare la sua inconfondibile musica di suoneria a poca distanza; e difatti la raggiungo subito coricata in una camera vicina, una camera per ospiti dell'albergo attualmente vuota, come quasi tutto qui, a stagione estiva finita e prima che arrivi quella sciistica.
Così, proprio mentre si sta alzando per rispondere al telefono, entro in camera e le chiedo "Embeh, che ti succede!?"
Mi racconta in poche parole, promettendomi di farmi leggere sul suo diario la vicenda notturna appena nei prossimi giorni gliel'avrà confidata:
l'auto della polizia urbana ha raggiunto uno spiazzo nel bosco un paio di chilometri fuori paese, assolutamente deserto; qui attendevano altri tre uomini oltre ai due che erano davanti in auto con lei; sono scesi tutti dall'auto e Marta l'ha fatta sdraiare supina su una specie di cavalletto sormontato da un’asse, scaricato dagli altri tre dal proprio furgone; Marta le si è seduta sopra, puntandosi con i piedi sulle stanghe a metà del cavalletto, con la figa sulla bocca, intimandole di leccare e di tacere; nel frattempo gli altri cinque se la sono scopata a turno tutti, senza alcuna fantasia, sborrandole tutti in figa.
Non crede che abbiano usato preservativi.
Non posso non trasalire, perchè intuisco l'andazzo: "Sei nei giorni fertili?" le chiedo prontamente "Sì!" "e … Marta lo sapeva?" "Sì, me lo aveva chiesto due settimane fa quando ci siamo riviste, dopo anni, in disco" "Beh, strana domanda tra due amiche che si reincontrano dopo tanto tempo!" "Noo, è perchè lei si ricordava da quando eravamo a scuola insieme che io non potevo prendere la pillola per il mio fegato e che quindi in quel periodo preferivo farmelo mettere in culo; poi sei arrivato tu e tutto è cambiato!" (Sì, perché io preferisco comunque e sempre il buco del culo alla figa)
Io ho già capito TUTTO! Perché sono un giovanotto sveglio.
In giro nessuno può non aver notato che uno dei nostri due pargoli (due gemelli) è una bimba dai capelli nerissimi, mentre il bimbo è biondino: due gemelli eterozigoti o eteropaterni? Chi sa fare due più due avrà sicuramente compreso che alla Lenka piacciono molto i maschi chiari, ma moltissimo quelli scuri.
Ed a Marta, o ad uno qualcuno dei suoi colleghi, deve essere venuto in mente che se Lenka si lascia mettere incinta da stranieri è giusto che anche i maschioni locali esercitino questo medesimo diritto. Non è lo jus primae noctis, ma ci si avvicina.
Il diario è redatto da Lenka due/tre volte alla settimana, per lo meno quando non siamo in viaggio: prima lo compone al computer, poi me lo legge ed io sono incaricato di muoverle tutte le obiezioni necessarie od utili ogni qualvolta mi paia che non sia poi così chiaro; perchè sono io, che per lo più non ho vissuto in prima persona quelle vicende, che posso dirle quando, riletto a distanza di decenni, potrà essere poco comprensibile o lacunoso; poichè è proprio questo lo scopo del diario: quando io, molto più vecchio, non sarò più accanto a lei, Lenka potrà rivivere le emozioni passate e ricordare quanto l'ho aiutata a crearsi una vita felice senza scrupoli improduttivi e frustranti. Apportate le correzioni e soprattutto le integrazioni necessarie, stampa le pagine e le archivia in un faldone; ne ha già riempiti diversi, prova provata di una vita (non solo sessuale) tutt'altro che tediosa. Ed io ne vado giustamente orgoglioso.
Ed è proprio nella fase di rilettura di quanto scritto oggi che scopro un particolare che nella breve relazione orale resami a notte fonda mi era assolutamente sfuggito; non è un particolare fisico, ma, a mio avviso ed anche a suo, di grande rilevanza per la sua e perciò per la nostra sessualità: sia quando è salita sull'auto della polizia, che dopo, nello spiazzo nel bosco, lei non ha mai veduto in viso i cinque uomini che secondo me hanno cercato di ingravidarla; mi riferisce anche il particolare dello specchietto retrovisivo interno dell'auto, che era piegato così che non potesse incrociare lo sguardo del pulotto alla guida. (Ah come dev'esser bello guidare un'auto col lampeggiante blu, con tutti che ti danno la precedenza anche se non ce l'hai! Anche se, lo ammetto, di sera fuori da questo paese passerà forse un'auto ogni cinque minuti.)
Quindi Lenka potrebbe trovarsi incinta senza sapere di chi, non nel senso abbastanza comune che se ne è fatta più di uno in un arco temporale ristretto (vi ricordate quando un po’ d'anni fa i quotidiani riportarono di una ragazza della Val Venosta, mi pare lavorasse in un centro fitness, che aveva notificato una ingiunzione giudiziaria ad una decina di maschi per obbligarli a sottoporsi al test del DNA e scoprire chi era il maschio di cui era gravida?), ma nel senso che non saprà probabilmente mai nemmeno chi l'ha trombata e tanto meno quindi a chi dovrà l'eventuale figlio; trovo particolarmente notevole quest'idea di considerare la mia mogliettina come la troia comune o, meglio ancora, la troia ufficiosa della locale comunità! Per di più anche il fatto che appartengano effettivamente al corpo di polizia mi pare tutt’altro che certo: potrebbero essere in servizio, fuori servizio od anche estranei. L’auto col lampeggiante dice pochissimo, perché i lampeggianti magnetici si possono comprare sui mercatini o dai robivecchi per quattro soldi.
La conclusione della serata è stata che Marta, ricondottala a casa, l’ha salutata dicendole "Ci rivediamo nei prossimi giorni!"
Nel pomeriggio io scoppio però in una fragorosa risata, perchè si s**tena uno di quei temporali, ma uno di quei temporali ...!
Voglio proprio vederli a raggiungere lo spiazzo dove i trattori portano i tronchi, da caricare con la gru a ragno sui camion per il trasporto alle segherie: ci saranno pozzanghere profonde a dir poco mezzo metro ed un pantano generale; ben conosco queste tremende radure, poichè quando si attraversano a piedi per raggiungere i sentieri montani si è sempre avvolti da nugoli tremendi di zanzare e tafani, che approfittano del terreno sconnesso e pozzangheroso per riprodursi a milioni. Se la sera scorsa hanno potuto divertirsi in una simile radura è stato solo perché da due settimane, del tutto eccezionalmente, non è piovuto.
Se Lenka oggi non mi avesse precisato il particolare, fondamentale, dell'anonimato, mi sarei potuto aspettare che pensassero di usufruire di una camera dell'albergo ed io mi sarei trovato a rispondere con un sorriso da orecchio ad orecchio che "Abbiamo tutto occupato!" Eh, sì perchè, solo per stasera, abbiamo il tutto esaurito per via di una cena di coscritti: tutti i maturati alla scuola tecnica all'esame di precisamente quarant'anni fa si ritrovano a cena nel nostro saloncino per le feste e, visto che parecchi nel corso del mezzo secolo sono andati a vivere in altre città, abbiamo tutte le ventuno camere prenotate. Così avrei potuto rifiutare la camera al "club degli stupratori della mezza notte", come li ho soprannominati parlando con Lenka.
E' vero che mi eccita avere in moglie la troia che ho; è vero che mai e poi mai vorrei una donna diversa; ma il gusto di fare il dispettoso non me lo caverà mai nessuno! (non verso Lenka, naturalmente!). In realtà è pacifico che nessuno ha veramente stuprato mia moglie, ma ci eccita far finta che sia così: la realtà delle sue scopate si muove in quella terra di confine che ci piace, perché nessuno le fa del male o la minaccia, ma nemmeno le chiedono (e tanto meno mi chiedono) il consenso.
Posso anche francamente ammettere che mi scoccerebbe invece se un qualche amante, reale o potenziale, la corteggiasse, facendole regali o anche solo complimenti e salamelecchi.



CAPITOLO TERZO: IL FIDANZAMENTO


Voglio anche precisare, già che ci sono, un'altra faccenda e cioè che se è vero che Lenka decise di venire da me la sera stessa che mi conobbe, io, benchè al momento mi mostrassi davvero possibilista, decisi concretamente che lei era la "ragazza/donna della mia vita" solo alcuni giorni dopo, alla festa per il 18esimo compleanno di una sua amica.
Lei allora frequentava con "Padron Pavol" il locale cosidetto "Club dei Motociclisti": in realtà una semplice osteria, con sedie e tavolacci spaiati, la più parte recanti scritte e disegnini incisi col coltello sul piano di legnaccio consunto. Arredo di recupero ed io me ne intendo!
Nei giorni precedenti Lenka mi aveva preannunciato la festa, chiarendomi la necessità di comprare alla festeggiata (la chiamerò Lucia perchè in questo momento il nome non mi viene proprio in mente!) un regalo adeguato: questo significava che lei avrebbe scelto il regalo ed io lo avrei pagato. Il che era ovvio, dirà qualcuno, ma non mi andava di assumere il ruolo del fidanzato/portafoglio; c'è un sottile scrimine tra la normalità di sostenere le spese necessarie o anche voluattuarie al menage con una ragazza ed il cadere nel farsi giudicare l'utile cretino che paga e che poco viene considerato; alcune mie esperienze del tutto negative avevano affinato la mia sensibilità al merito, ma ricordo che la schiettezza del suo comportamento mi rese consapevole dell'avere a che fare con una ragazza equilibrata, come successivamente ebbi sempre a confermarmi: gran troia, gran vacca, ma non mercenaria.
Alla festa tutti bevevano di brutto, soprattutto distillati, e io pensavo all'etilometro, degli eventuali sbirri in agguato in strada, che si sarebbe liquefatto se accostato al loro fiato.
Io in effetti bevo sempre assai poco.
Ad un certo punto le ovazioni del popolo bikers costrinsero la festeggiata a salire su uno dei tavolacci, improvvisandovi un’accenno di spogliarello, con la musica sovrastata dai ritmici battimani; la Lucia era una ragazzona alta forse 1,80, con spalle grosse così e polsi larghi come le mie caviglie, al confronto della quale Lenka pareva di un'altra razza. Portava i capelli corti a spazzola e, senza tema di smentita, sono certo che si scopava più ragazze di molti colleghi maschi. Aveva una tuta aderente elasticizzata rossa, che si abbassò, scoprendo il reggipetto, di quella stoffa mimetica bianco/grigio/nera chiamata "metro". Poi si tolse anche il reggipetto mentre a lungo si palpava le tette, piuttosto appuntite e munite di anellini ai capezzoli. Poi si abbassò la tuta sui fianchi, ma facendo chiaramente capire con dinieghi della mano a chi le urlava “Nuda, nuda!” che non sarebbe andata oltre.
Fu allora che Lenka si issò sullo stesso tavolone e iniziò a ballarle faccia a faccia, strusciandosi, vestita, contro le tette dell'altra: fu giocoforza che quella le sfilasse, sollevandolo dal basso, il completino con pizzi neri e nastri argentati che indossava, lasciandola quindi a propria volta con il solo perizoma, stante che non indossava alcun reggipetto; ma, visto che l'altra, che conservava la tuta arrotolata sotto la vita, aveva deciso di non andare oltre e continuava a ballare attendendo che cessasse il brano musicale, Lenka le passò alle spalle e, chinandosi con mossa fulminea, benchè avesse già discretamente carburato con una decina di bicchierini, le abbassò la tuta sino alle caviglie: Lucia, presa alla sprovvista, prima tentò per un attimo, chinandosi ad afferrarla, di rialzarsi la tuta, scesa in un sol colpo con le mutandine, ma non riuscendoci perchè tuta e mutandine si erano arrotolate le une nell'altra, preferì vendicarsi strappando in aria con un colpo netto il perizoma a Lenka; così finirono a piombare, fintamente più sbronze del vero, semisdraiate sul tavolaccio e qui la sovrastante Lucia, allargando di prepotenza le grandi labbra di Lenka, costrettala supina col suo braccio sinistro, iniziò a smanettarla come una pazza, senza altra resistenza da parte di Lenka che grida roche frammiste a grasse risate.
Sono abbastanza navigato per capire che si era verificato esattamente quello che Lenka voleva e che, come sovente accade, era stata la persona che ama essere dominata a condurre la persona dominante precisamente dove voleva: l’iniziativa della mia dolce metà aveva voluto giungere più o meno lì dove erano giunte.
Ed io decisi sui due piedi che Lenka faceva proprio per me!



CAPITOLO QUARTO: MARTA CON LENKA

Così, in ogni caso, per oggi ho la certezza che il tentativo più o meno conscio di ingravidarmi Lenka non potrà proseguire, per lo meno non con le modalità con cui è iniziato.
Non sono nemmeno riuscito ad appurare da Lenka medesima se già ieri fosse uno dei tre mitici giorni mensili di fertilità: non ricorda con sufficiente precisione quando le sono terminate le ultime mestruazioni ed ovviamente perciò non si ha alcuna rigorosa certezza. Appenderò un calendario murale per farle d’ora innanzi segnare i suoi ritmi.
Non sono riuscito nemmeno a capire sino a qual punto sia Marta che ha preso l'iniziativa oppure siano i suoi amici; a giudicare da quanto alla mia età ho iniziato a comprendere di quello che una volta si era soliti denominare "il gentil sesso", niente di più facile che sia Marta l'artefice della faccenda, forse anche stimolata da un certo qual desiderio di rivalsa nel confronti dell'ex compagna di classe, la Lenka: lei "si fa il mazzo" con turni di notte e grane a non finire, per uno stpendiuccio da fame, mentre mia moglie se la gode di brutto e, soprattutto, viaggia molto con me, tra tropici e città d'arte, limitata in ciò solo dalle gravidanze; nè si trova, benchè abbia sposato un uomo molto più anziano, ad essere preclusa nelle proprie aspirazioni sessuali. C'è di che suscitare invidia.
Comunque, sia Lenka che io, avendo dormito poco la notte scorsa, gradiremmo coricarci "con le galline": non è però possibile, perchè il gran pienone della cena dei coscritti ha richiesto la presenza di due cameriere extra ed ovviamente c'è necessità della mia presenza per gestire la situazione.
Così non sono ancora le 21 quando, dopo una nutrita raffica di sbadigli nucleari, Lenka mi dichiara che va a dormire. Bacetto della buona notte e sale.
Dopo meno di un'ora sento battere contro la vetrata fintocattedrale che separa l'atrio da un primo andito chiuso dal portone: ovviamente abbiamo chiuso al pubblico, apponendo un cartello per qualche improbabile ulteriore avventore "OGGI RISERVATO", ma i camerieri negligentemente hanno dimenticato di chiudere la portina pedonale del portone esterno.
Già prima di aprire intuisco, al di là del vetro marrone, la sagoma di Marta; la faccio entrare, chiedendole invano perchè non ha suonato il campanello, mentre lei, senza rispondermi, si guarda intorno perplessa non vedendolo, come se il campanello potesse essere tra portone e vetrata, anzichè all’esterno: magia della illogicità femminile!
Comunque prosegue decisa, senza degnarmi oltre; entra nell'area ristorante dove mi trovavo tranquillo, a sinistra dell'andito, chiedendomi se c'è qualche festa, perchè dalle aree alle sue spalle ha sentito venire l'inconfondibile vociare di molta gente, già per lo più alticcia, che starnazza tutta insieme, mentre nessuno vuole ascoltare gli altri; le dico che Lenka si è già coricata, stanca per la nottata precedente; "Per così poco!" esclama sgacciatamente provocatoria. E’ fantastica: io questa giovane la trovo adorabile! Comunque dichiara perentoria che vuole vederla; vado dietro il banco bar e la chiamo al citofono, sperando che non si sia ancora addormentata, presa dalla tipica necessità femminile di dedicarsi alla toilette prima di coricarsi, come se dovesse andare al Gran Ballo dell'Opera.
Mi risponde subito e mi tranquillizzo, mi dice che si era già infilata sotto le coltri, ma non dormiva "Mi metto qualcosa e scendo." soggiunge.
Arriva subito ed il "qualcosa" è molto relativo: si è infilata un negligè rosa a nastri rossi, calzando pantofoline da camera in tinta, col tacco alto e con vistosi fiocchi: non posso criticarla, considerato che
A) glieli ho regalati io;
B) davo per scontato che NON le usasse per me, visto che personalmente NON gradisco alcuna tipologia di biancheria da camera, tanto più se pretenziosa o raffinata: preferiamo entrambi la nudità totale, sia per me che per lei e ciò è probabilmente in linea con gusti da schiava/o;
C) al citofono non le ho rammentato che stasera girano per l'albergo una cinquantina di estranei: come si potrebbe pretendere che lei lo ricordasse, a distanza di ben un'ora dall’arrivo di quelli?
Così, appena la vedo comparire dalla porta che scende dalle camere e che immette anche dalla nostra area privata alla stanza normale del ristorante, mi giro sui tacchi e mi precipito a chiudere a chiave la porta opposta (sempre a vetri fintocattedrale) che separa il ristorante dall'atrio; solo che per una ben nota legge di Murphi non ho il tempo materiale di muovere due passi per tornare dalla porta verso le due ragazze che, mentre noto che Lenka si è seduta semiregolare su una sedia di legno massiccio a capotavola e che Marta le si è seduta a gambe larghe a cavalcioni e apertole il negligè le sta strizzando le tette, sento sbattere forte contro la porta alle mie spalle appena chiusa: una cameriera avventizia non aspettandosi di trovarla chiusa ci si è fisicamente schiantata contro e, non convinta, insiste a scuotere energicamente il pomolo; sono costretto a riaprire per sentirmi dire che i coscritti vogliono alcuni liquori, che ovviamente sono qui dietro al banco bar, ma sembra fingano di credere che siano compresi nel prezzo forfettario della cena; esco nell'atrio intimando imperioso alla cameriera di seguirmi, mentre noto che quella si prova a sbirciare dentro e io mi chiudo risoluto il battente alle spalle, quasi sul suo naso.
La discussione con i coscritti non ha nemmeno luogo, perchè sono coscienti tutti che i luiquori sono extra. Così dichiaro che vado a prendere le bottiglie, facendo segno con un gesto ai camerieri di sgomberare e portare i piatti sporchi e vuoti direttamente nel retro cucina; ma uno dei coscritti inizia a raccontarmi che anni fa anche lui gestiva un ristorante ed io ho un attimo di perdita di controllo della situazione e stupidamente gli do retta: è sufficiente acciocchè, quando mi giro, noti che la cameriera è scomparsa e che mi ha preceduto nel ristorante; sopraggiungo in un attimo, ma quella lestissima è già dietro al banco bar con due bottiglie in ciascuna mano e correndo ridacchiante verso il salone mi incrocia esclamando "Quelle sì che si divertono!!!", sì, perchè, sempre seduta frontalmente a cavalcioni di Lenka, Marta ha indossato uno strappone a mutandina sopra i jeans, si è tolta la camicia lasciando le sue incredibili tettone all'aria e sta lentamente stantuffando Lenka che ha il negligè apertissimo e rantola ad alta voce, incurante di quanto le accada attorno al di fuori del godimento che unico le interessa; Marta per riuscire a penetrarla sta sulle punte dei piedi e la seggiola è arrovesciata indietro, oscillando in bilico sull'asse di abete che funge da unico piede posteriore.
Non so cosa fare, preso sia dall'istinto di evitare che la sedia cada all'indietro, con rischio per Lenka di battere violentemente la nuca a terra, sia dal timore che la cameriera annunci in sala che qui si fa dal sesso dal vivo, così che cinquanta spettatori non ancora tanto sbronzi da non reggersi in piedi accorrano allo spettacolino gratuito.
Preferisco tornare un momento in sala, perchè mi sembra ridicolo il mettermi di dietro a reggere la sedia. Capisco dal fatto che tutti sono intenti a cantare e bere che la cameriera non ha fatto loro parola: quella peraltro mi tira in disparte e, afferratomi per la giacca, mi tira ulteriormente a sè, dichiarandomi: "Così tua moglie non è solo una mangiacazzi, ma anche una lesbicona!"
"Eh sì!" rispondo io, intuendo che le scappatelle di mia moglie sono altrettanto segrete quanto la composizione della nazionale di calcio, ma anche intuendo che la qui presente cameriera vagheggia di potersi sostituire a Lenka nella mia vita, ignorando che io e mia moglie non siamo una cosiddetta "coppia aperta", nè tantomeno io sono un uomo alla ricerca di una possibilità di restituirle le grandi corna: io con le corna mi ci trovo benissimo, mi piacciono profondamente, per non dire che mi entusiasmano, ed il navigare a vista tra le emozioni che la trioaggine di Lenka mi procura mi fa sentir giovane, nonostante i diversi ..anta!
Torno nella saletta ristorante.
Le due lesbicanti si sono nel frattempo un po' ricomposte (si fa per dire, perchè Lenka è seminuda, con i sandaletti in mano) e Marta ha riposto lo strappone utilizzato in una borsa a tracolla di stoffa mimetica.
"Ci vediamo domani sera che vengo con gli amici!" esclama Marta rivolta a me. "Con questo tempo? come fate?"
"Ho già spiegato tutto a Lei", mi replica. Non mi era parsa ad onor del vero una seduta di conversazioni progranmmatiche.
"Te la sfondo con questo." aggiunge e mi esibisce, cavandolo dalla tracolla, un affare nero grossissimo a forma di braccio e terminante in un pugno " . . . così poi da te non sente più niente: haha!"
E se ne va insalutata ospite.
Cerco di ottenere delucidazioni da mia moglie, che torna a mitragliare sbadigli; è già con un piede sul primo gradino della scala che reca alle nostre stanze.
"Domani usiamo la discotechina di Pavol, come fosse un dungeon, perchè domani non è aperta al pubblico; facciamo gli schiavi, tu, io e forse qualcun altro."




CAPITOLO QUINTO: LA NONNA

Vorrei parlarvi della nonna; vorrei parlarvi bene della nonna.
Naturalmente parlo della nonna dei miei figli. E, visto che io non ho ascendenti vivi, si tratta ovviamente di mia suocera Jana.
Mia suocera è giovane e giovanile. E questo benchè abbia avuto cinque figli cinque: alla faccia di chi sostiene che le gravidanze invecchiano.
E non è certo una di quelle donne che si sono “tenute” frequentando un centro Fitness e Beauty: il fitness, poveraccia, l’ha fatto scarriolando il carbone da riscaldamento da davanti a casa, dove lo scaricava il camion, al retro, dove aveva il deposito; gran forma e gran sistema muscolare!
Per il resto ha sempre avuto un certo problema, con gli uomini, come dire, come un motore con la fase anticipata: e non ha mai trovato “un meccanico dello spirito” che le regolasse la fase; ora, di donne che hanno figli da uomini diversi è piena l’aria: si mettono con un uomo, ci fanno un figlio, poi si mettono con un altro e giù un altro figlio; no, lei non ha fatto così: ha avuto un figlio da un ragazzo con cui andava, ma che era fidanzato con un’altra; quello ha ritenuto giusto lasciare l’altra e sposarsi con lei, che ha messo al mondo il primogenito, ma visto che il maritino era sempre in giro a fare le gare di moto (in epoca socialista raro privilegio di un ammanicato, perché di moto in giro ce ne erano meno che di aquile reali) e finiva col trascurarla è giustamente rimasta incinta di un altro; il primo è morto (in un incidente di moto, tanto per coerenza) e lei ha ereditato dal marito i diritti sulla casa (non proprio la proprietà, perché il socialismo non riconosceva la proprietà privata): così il padre della nuova nascitura ha pensato fosse ragionevole risolvere il proprio problema della casa andando a vivere con lei, mentre Jana sfornava la bimba e rimaneva poi incinta di un altro uomo. E così via per un totale, ripeto di cinque. Quindi non una staffetta, bensì un sistema a baionetta, rimanendo sempre incinta di uno diverso da quello con cui ufficialmente stava.
Il primogenito, Valter, ha oggi venticinque anni e fa il camionista sulle rotte di tutt’Europa. La secondogenita, Silvia detta Samantha, ha ventitre anni e lavora quasi altrettanto itinerante nei nights di tutt’Europa. La terzogenita è la mia dolce metà ed ha ventun anni.
Poi mia suocera deve aver avuto un momento di stanchezza, così che la quartogenita è Hana che ha solo 17 anni e l’ultimogenito è una ragazzina di 15 anni; non è un lapsus grafico: per l’anagrafe è l’ultimogenito, ma lui/lei è convinta di essere una graziosissima ragazzina. Comunque si chiama Klaudio, ma se ve la volete fare amica chiamatela Klaudia.




CAPITOLO SESTO: IL BDSM RICHIEDEREBBE INTELLIGENZA E CONCORDIA


Andiamo dunque al di là della piazza, nei locali sotterranei della pensione di Pavol, dove due volte alla settimana c’è musica da ballo e tre volte all’anno persino qualcuno che suona dal vivo.
Non c’è ovviamente nessuna attrezzatura fissa da sadomaso.
Dal parlottare tra Pavol e Marta intuisco che quello non solo è ben al corrente del trattamento in corso verso Lenka, ma che probabilmente non vi è estraneo. Certo lui non ha alcun bisogno di nascondersi per scoparsela e comunque la sua voce sarebbe oltretutto troppo ben nota: quindi escludo che facesse parte dell’equipaggio degli “stupratori”.
Io ho sempre chiarito a chicchessia che non sono affatto masochista, cioè non gradisco la fisicità del dolore; mi piace viceversa il cuckoldismo, che percepisco non come sequela di umiliazioni e limitazioni, ma come divertimento ed eccitazione nel vedere la compagna dei miei giorni e delle mie notti trasformata in una vera maialessa. Ma è davvero una “trasformazione”? No, penso di no, che sia già tutto ab origine. Che io non sia masochista sembra che qualcuno sia persino riuscito a capirlo. Beh, non era poi difficile, ma di zucconi è pieno il mondo.
Con mia sufficiente sorpresa su un tavolino trovo un sacchetto da supermercato con l’indicazione che è per me e dentro dei capi d’abbigliamento che Marta mi specifica di indossare subito. La sorpresa deriva anche dal fatto che è buona regola che qualunque spesa sia normalmente necessaria implica che il sottoscritto debba mettere mano al portafoglio. Io peraltro mi guardo bene dal richiedere delucidazioni al merito e cerco di capire come debbo procedere: la prima che estraggo è una canottiera nera traforata, facilissima da infilarmi e di cui poi vedo che ha due buchi rotondi in corrispondenza dei miei capezzoli che perciò fuoriescono, evidenziati. Al capezzolo sinistro io sin dall’inizio della relazione con Lenka porto un piercing a gancetto dal quale pende una targhetta metallica con la sua iniziale; ed ora pende fuori dalla maglietta. Poi trovo una specie di mutandona, sempre nera, di raso sintetico, con un grosso buco: essendo un giovanotto sveglio utilizzo il buco per farne uscire i gioielli: peraltro è molto più largo del necessario. Terzo capo è una gonnellina rosa di velo a due strati; mi ci vuole un minuto giusto per indossare il tutto. Infine un paio di sandaletti da schiava senza suola e con dei lacci intorno allo stinco, ma opportunamente con una cerniera a lampom posteriore che evita la necessità di manipolare ed annodare i lacci. Sono pronto e mi presento a Marta che sta confabulando con Pavol: mi guarda girandomi intorno e ridacchiando soddisfatta e mi solleva la gonnellina, ma “No, no!” esclama “hai messo la mutanda al rovescio.” Non capisco. “Il buco va dietro.” MI spiega pacata come se insegnasse ad un bimbo di tre anni la funzione della matita. “E dove metto i genitali?” “Dentro la mutanda, non ti servono!”
E allora la sfilo, la rovescio e la reinfilo: è effettivamente possibile contenere i miei arnesi in posizione obliqua, pur non essendoci uno spazio predisposto. Adesso ho le chiappe parzialmente al vento e soprattutto sento un dito di Marta che mi tocca l’ano. “Così va bene” commenta e se ne va al tavolo dove Lenka è stata fatta sdraiare supina, legata con lacci stretti dai polsi a due gambe del tavolo e con lacci lunghi dalle caviglie alle altre due gambe del tavolo: noto che è stata fissata in maniera tale da lasciare un’ampia possibilità di movimento per le gambe. Mentre la scruto Pavol mi chiarisce che quanti indosso è stato lavato in lavatrice, quindi è usato ed ecco perché non mi hanno chiesto quattrini e non era impacchettato. “Dovete cambiare quella lavatrice,” ironizzo, “lascia odore di detersivo: significa che non funziona bene il risciacquo.”. In effetti il mio subconscio lo aveva notato.
L’altra sorpresa della serata è l’arrivo, alla spicciolata per di più, di svariate persone. Non è un gruppetto, bensì parecchi “amici”: Strano perché pensavo saremmo stati cinque o sei e saremo già più di venti.
Marta torna da me con le seguenti tassative istruzioni
“… che non intende ripetere!”
A - io fungerò da barista, andando su e giù dall’altra stanza alla saletta dei giochi, portando le consumazioni a chi le richiede;
B- debbo annotare sul biglietto di ciascuno quanto ordinato ed alla fine pagheranno a Pavol prima di andarsene;
B- C- visto che la maggioranza dei presenti resterà in piedi intorno alla stanza , io passerò tra di loro e davanti a loro con le bottiglie e pertanto con le mani occupate: se qualcuno mi palpa il deretano od altre parti non devo assolutamente reagire male, bensì assecondare, trattenendomi un momento, così che il palpatore possa fare i propri comodi;
C- Non devo interagire con quello che fanno a Lenka;
D- alla fine mi sarà richiesto un “gran finale”, che per ora non mi vuole precisare.

Ci sono altri due giovani maschi nella veste di schiavi: entrambi sono completamente nudi (senza nemmeno un paio di ciabattine: a me darebbe assai fastidio). Ciascuno dei due ha un dildo anale inserito, con una lunga coda sintetica che pende per una spanna. “Un altro per te non ce l’avevamo”, mi chiarisce Marta; dovrei fare l’offeso: “mi trattano come l’ultima ruota del carro”, ironizzo mentalmente, non prevedendo il seguito.
Ormai si va ad iniziare: lenka è splendida nella propria totale nudità; Pavol ha messo della musica e brani di Manele si alterneranno per tutta la seratina. Sta in piedi dietro la testa di Lenka e si occupa di abbeverarla, bevendo a canna da una bottiglia di birra da un litro e mezzo e lasciando poi colare la birra mista a saliva nella sua bocca spalancata. Le ha detto di non deglutire sino al suo comando ed aspetta due volte che la bocca trabocchi prima di darle l’ordine di deglutizione. I due schiavi ulteriori sono entrambi accovacciati sotto il tavolo, si stanno menando l’uccello con poca convinzione, mentre si alternano a turno a succhiare il pistolone di Pavol: questi indossa una salopette stinta di jeans ed un paio di zoccoli neri ed ha la patta slacciata ed il cazzo già discretamente in tiro: io girando tra i presenti schierati intorno a guardare sono in una situazione privilegiata perché mi muovo ed osservo tutto benissimo. Ma non pensavo che a tanti potesse venir voglia di pizzicottarmi il culo ed il capezzolo libero dal piercing o di giocherellare con la targhetta che pende dal capezzolo sinistro. Sin qui seguo le direttive di Marta. Ma la mancanza del terzo dildo anale, non disponibile per me, suscita in alcuni il desiderio di infilarmi la bottiglietta di birra vuota nel didietro e questo non s’ha da fare. Soprattutto senza alcuna lubrificazione.
Pavol è molto erotico ed io medito che la salopette è l’indumento ideale per i bull ed i chiavatori in genere, perché permette di far funzionare il cazzo senza trovarsi ridicolmente con le braghe mezzo calate o, peggio, scese intorno alla caviglie. Ma il centro dell’attenzione è Marta che, da consumata attrice si esibisce ad infilare dildi vaginali sempre più grossi e, noto, sempre ben lubrificati nella figona di Lenka. Non l’ha mai avuta stretta, ma adesso farebbe invidia ad una troia cinquantenne, tanto è penetrabile. Debbo peraltro andare a rifornirmi di altre birre e torno subito. E’ passata più di mezz’ora dall’inizio dell’esibizione e finalmente Marta estrae dallo s**tolone ai propri piedi il famoso braccio di lattice con la terminazione a pugno. Io, purtroppo non faccio assolutamente caso al fatto che lo unga versando liquido da una bottiglietta, anziché gel dal flaconcino: anche se me ne fossi accorto, non avrei capito né intuito la situazione. Lentamente, molto lentamente, Marta procede ad infilarglielo tutto in una figa ormai così dilatata come se dovesse partorire. Ci riesce bene.
I presenti prima applaudono, poi si leva un’ovazione con grida sguaiate.
Lenka per tutto il tempo è stata collaborativa, muovendo un po’ le gambe per assecondare i movimenti di Marta e senza mai fiatare, avendo sempre la bocca piena della birra colante dalla bocca di Pavol: solo a questo punto Pavol raggiunge un orgasmo in bocca ad uno dei due schiavetti e subito versa il fondo della bottiglia sul corpo di Lenka, invitando chi voglia a venirgliela a leccare soprattutto dalle tette: qualcuno si avvicina e la palpa e la slingua.
Marta impugna ancora l’estremità esterna del grosso cazzo nero. Penso che glielo estrarrà; viceversa Pavol slega Lenka la fa alzare e l’accompagna in giro per la stanza completamente nuda ed in difficoltà a camminare per il grosso intruso: nessuno dei presenti si astiene dal palparla e dal toccarle l’estremità esterna del bel megacazzo.
Marta mi chiama al tavolo e Lenka torna a sedervisi: presa la parola e spenta da Pavol la musica, chiede nel silenzio generale a Lenka se è contenta dell’uccello nero e se io (mi presenta agli astanti come “il suo cornutissimo marito italiano”) sono in grado di soddisfarla come ha fatto lei. Lenka, seduta sul bordo del tavolo e coll’arnese sporgente dalla figa, esclama ovviamente che no, io non sono all’altezza e per giunta ci so fare poco. Aggiunge, forse da istruzioni ricevute, con un largo sorriso, che per fortuna lei sa come rifarsi. Molti alzano la mano per offrirsi volontari e prenotarsi. Marta le chiede, da intervistatrice, di specificare meglio e Lenka profferisce un disordinato elenco di amanti che ha avuto, confondendo però le acque dei recenti con quelli precedenti all’avermi conosciuto. Marta la incalza, domandandole se ha figli: “Certo, due.” E sono figli miei? La incalza ancora una volta Marta: Lenka ride, non lo sa proprio, ma uno direi di no: è sata una vacanza in Marocco. Lenka manifesta segni di forte disagio. Dice a Marta di estrarle l’arnese e che deve andare in bagno. Marta fa un cenno a Pavol, il quale annuncia una pausa, invitando tutti i presenti a trasferirsi nella zona bar, dove io li precedo. Serviamo da bere a tutti, debbo dire molto assetati. Si forma una coda ai servizi maschili, perché tra i presenti c’erano solo tre ragazze. I due schiavetti sono fatti appoggiare al bancone, dalla parte dei clienti, con il culo in vista: Marta si è infilata uno strappone con strisce allacciate intorno ai fianchi, ma che lascia il culo scoperto: sembra il fratello povero del classico strappone a mutandina. Lo lubrifica e, tolto il dildo dal buco di uno dei due, si infila lei, dopo averlo unto col gel. Non a lungo, perché quello, con qualche mia meraviglia, eiacula, pur senza nemmeno toccarsi avendo entrambe le mani appoggiate al bancone. Marta gli ingiunge di leccare la propria sborra dalle piastrelle in cotto del pavimento e passa al secondo; qui la faccenda va per le lunghe e Marta gli ingiunge di segarsi, finchè anche quello sborra, più sul fronte del bancone che per terra. Io sono sempre dietro al bancone a servire le birre, adesso nei boccali. Marta mi chiama e mi chiarisce che devo seguire l’esempio degli altri due: ma io ho il culo chiuso, perché non ho portato stasera alcun dildo, né mi aveva avvertito di prepararmi con qualcosa. Mi dice di non preoccuparmi ed inizia ad ungere abbondantemente lo strappone, dopo averne sostituito il condom; io percepisco uno strano odore, come di olio al peperoncino (non essendo fumatore sento bene gli odori): le chiedo senza ritegno se è diventata matta. Mi risponde sarcastica che è lo stesso che ha usato per Lenka: osservo solo allora che la poveretta non è più ricomparsa dal bagno. Ci vado di corsa e la trovo sconvolta e forse febbricitante, per un bruciore folle che le viene dal ventre. E’ paonazza in volto, ma sta tremando di freddo, ancora nuda. La rivesto alla meglio, mi rivesto anch’io e corriamo senza dare spiegazioni a nessuno al pronto soccorso dell’ospedale cittadino.
Qui c’è il dramma di chiarire cosa è successo e non penso che ci abbiano creduto. Abbiamo sostenuto che ha scambiato flaconi diversi, ma nessuno terrebbe in cucina un liquido vaginale. Probabilmente suppongo si sia trattato di una imitazione sintetica dell’olio al peperoncino, altrimenti il bruciore si sarebbe avuto subito. Ma la bottiglietta che ho visto io era di plastica e del tutto anonima: il liquido, in tutta evidenza, vi era stato travasato.
La trattengono senz’altro in ospedale, benché lei non voglia.
L’indomani mattina mi faccio vivo prestissimo per notizie ed il medico si riserva la terapia. Avverto mia suocera, che però non può venire anche perché i nostri due bambini sono da due settimane da lei e non ha mai avuto la patente. Non mi pare però preoccupata altrettanto quanto lo sono io.
Dopo tre giorni di fortissimi bruciori, finalmente i dolori si calmano almeno un po’ e dopo altri due giorni la dimettono, prescrivendole di continuare le cure al proprio domicilio.
Né Marta né Pavol si sono fatti vivi.


CAPITOLO SETTIMO: LA CRISI

La terapia prescritta a Lenka le assorbe molto tempo ed energie. Non vuole assolutamente parlare di quanto accaduto.
Passano le settimane ed i bimbi restano dalla nonna, che è venuta a trovarci; per fortuna sono in età prescolare.
Dopo un mese la situazione non si è normalizzata e Lenka continua a rifiutare non solo i rapporti sessuali, anche anali, ma persino qualsiasi tenerezza. Trascorre il tempo a guardare scemate in televisione. Sono arrivato al punto di scambiare, di nascosto da lei, il televisore nelle nostre stanze con quello di una camera per ospiti, sapendo che è guasto, ma non se ne è data per intesa ed ha detto ad un cameriere di portargliene un altro da una camera, pur senza sapere del mio scambio. Poi l’ho sorpresa mentre lo stesso cameriere se la stava per inculare, in piedi appoggiata ad un cassettone nel corridoio, mentre i nostri patti prevedono sì la sua libertà sessuale, ma giammai col personale (che in bassa stagione è ridotto a lui ed una ragazza): la situazione mi crea forte imbarazzo.
Peraltro continua a smangiucchiare merendine ed altre porcherie, uscendo poco dalle nostre stanze: temo frinirà col farsi obesa.
Io vado ancora una volta dalla nonna, non solo per vedere i bambini, ma anche per parlarle della figlia; dista da noi circa quaranta chilometri e vive in una casetta di campagna, circondata da prati e con alle spalle colline boscose. Le stanze di questa casa contadina mi infastidiscono altrettanto quanto piacciono ai bambini, perché sono inqualificabili: non si può dire qual è la cucina, quale il tinello, quale il salotto, perché il mobilio risulta distribuito quasi a casaccio. Solo il bagno è chiaramente il bagno ed il cesso è uno stanzino inequivocabile.
Poco preoccupata del mio matrimonio, la nonna lo è invece di Klaudia, perché non si limita a fare la ragazza (e questa non sarebbe peraltro una novità) ma si porta a casa ragazzi che se la scopano, forse anche a pagamento. E lo fanno in una stanza qualsiasi. Quindi la nonna cerca di convincermi a portarmela meco in città, non per salvarla da chissà cosa ma per evitare eccessive chicchere dei vicini. Tendenzialmente acconsento, sperando almeno che possa servire a smuovere le acque a casa mia in senso positivo. Io rientro in città e Klaudia mi seguirà in treno tra un paio di giorni.
Klaudia mi lascia però perplesso, chiedendo il mio parere sulla sua possibilità di venire da me viaggiando in treno vestita da ragazza e poi rimanere stabilmente in abbigliamento femminile: cosa significa oggi “vestita da ragazza”, specialmente d’inverno? Un paio di jeans ed un maglione sotto un giubbotto; alla faccia della femminilità. E le scarpe da ginnastica non sono forse unisex? Mi chiarisce che vorrebbe indossare la gonna. Va bene, ma le chiedo, per favore, di portare calzature femminili, perché odio davvero la mania delle scarpe da ginnastica, tanto alla moda oggidì. Naturalmente acconsente, facendosi da me promettere che poi le comprerò un certo paio di stivali da cavallerizza che ha visto in vetrina mesi or sono e di cui si è innamorata.
Ritorno a casa e Lenka nemmeno mi chiede come stanno i bambini e la nonna.
Me ne esco seccato, vorrei dire sbattendo la porta, e vago un po’ per la piazza, sempre deliziosa, ma sono sull’incazzato.
Non ho voglia di andare a mangiare qualcosa altrove, né certamente di andare a ballare. Sono ormai anni che, padre di famiglia e con moglie intraprendente, non mi ponevo più la classica domanda dello scapolo “… e cosa faccio stasera?”
Non ho voglia di nulla. Ed oltretutto meno sto in casa, incrociando il cameriere che si stava facendo Lenka mentre lei ci stava (ed a me si rifiuta) e meglio sto.
Vado verso il centro della città, ma incomincia a pioviginare.
Finisco con l’infilarmi in un cinematografo, sotto un circolo ricreativo, uno degli ultimi ancora sopravvissuti, dopo aver guardato all’esterno le varie locandine dei programmi, ma accorgendomi, mentre entro nella sala dopo aver pagato il biglietto, di non aver fatto attenzione a qual è il film che si proietta oggi.
La sala è semideserta a prima sensazione. Subito noto una coppia uscire (per quel che ci vedo essendo entrato dall’atrio super illuminato) e mi domando se ci sia qualcun altro che mi sfugge: non mi sembra; penso che quei due siano rimasti da una proiezione precedente, forse a fare ben altro che guardarsi le pubblicità proiettate tra i due film. Il film è appena iniziato ed è un poliziesco americano. Nella primissima scena un ragazzino mangia popcorn: non è un messaggio subliminale, ma a me ne viene voglia. Esco rapidissimo per servirmi alla macchinetta, ma non ho la moneta: cambio alla cassa, ma la macchinetta non reagisce: le mollo dei cazzotti; la cassiera viene ad aiutarmi ed in due riusciamo a sbloccare la macchinetta, che me ne riempie un bicchierone esagerato. Rientro rapidamente in sala, torno a sedermi, levandomi il giubbotto, che appoggio sul sedile davanti a me ed il bicchierone sul sedile al mio fianco. Sorrido tra me domandandomi se, occupando tre posti nel cinema, qualcuno mi dirà di rimuovere le mie cosette. Sento un leggero rumore alle mie spalle e capisco con sorpresa che non sarò l’unico pirla a guardarsi quel film. Si tratta di tre ragazze, che entrano rumorosamente e mi aspetto che sopraggiungano tre maschietti, vedendole esitare in piedinel corridoio centrale: voglio curiosarle se mi passeranno di fianco; viceversa quelle vengono a sedersi proprio dietro di me, incespicando ed urtando diverse poltroncine, compresa quella su cui siedo: mi giro seccato, ed una mi dice “Ciao!”: mi faccio l’idea che siano un po’ brille; se fosse entrato un gregge di venti pecore, non avrebbe potuto fare più casino; sono tentato di spostarmi di diversi metri, ma sono sul filo dell’incertezza, per una certa qual attrazione che subisco, nonostante il fastidio che da sempre un ubriaco ad un uomo sobrio; continuano a parlare tra loro a voce alta e sono ormai certo che sono sbronze. Da quel che ho sbirciato, la ragazza dietro di me ha capelli biondi corti, fissati col gel, quella alla sua destra ha i capelli rasati, forse con codini posteriori e l’altra è più tozza e con capelli neri lunghi (solo dopo scoprirò i loro nomi, che ora indico già, per comodità descrittiva); quella a destra si chiama Marketa, quella al centro Julia e la terza Erika. Erika è chiaramente meno sbronza e ripetutamente cerca di far smettere alle altre il rumoreggiare, rimanendo meno coinvolta; E’ a questo punto che Marketa appoggia i piedi con infradito sulla spalliera della poltroncina alla mia destra; fingo di nulla, ma sono stupito che in questa stagione circoli con infradito: probabilmente non vengono dall’esterno, ma dal soprastante circolo giovanile. Quella gioca con le ciabattine ed una, naturalmente, cade giusto nel bicchierozzo dei miei popcorn, per il mio gusto peraltro troppo salati: mi giro con la ciabattina in mano, e vedo che ridono tutte e tre a crepapelle; ho il buon senso di lasciar perdere e le porgo la ciabattina, pensando che la prenda in mano, ma lei mi tende il piede perché gliela infili; mi verrebbe da chiederle scusa per l’eventualità che i miei popcorn abbiano sporcato la sua ciabatta, esito un attimo, ma poi lo dico, a voce alta e chiara: ridono nuovamente, sganasciandosi. Quella cretinata del film prosegue, ma loro vociano perché non ho offerto i popcorn; passo indietro il bicchiere ancora semipieno e loro si servono a manciate, facendone cadere molti a terra, per infilarsene mucchietti in bocca. Marketa tossisce, ingozzatasi, e forse ne sputa alcuni verso di me; il bicchiere mezzo vuoto viene lasciato cadere e rotola sotto il mio sedile: mi chino a raccoglierlo e mentre sto tornando seduto vengo colpito alla nuca da popcorn, non so se lanciatimi o sputati. Per un attimo fingo di niente, poi vengo colpito quasi contemporaneamente da uno schiocco dell’indice all’orecchio destro e da una pacca sulla spalla sinistra: hanno attirato la mia attenzione per pormi un cruciale quesito: “Ma tu non hai sete?”. Registro mentalmente che mi hanno chiaramente dato “del tu”, cosa qui inusuale e …… comunque ho sete. Marketa, la più spavalda, mi intima di andare a prendere tre coche e tre birre; Esco (per quel che me ne frega del film!) e la cassiera mi da, senza fare domande, tre lattine e tre bottigliette; per pagarle do alla cassiera una banconota del doppio e le dico forte “Grazie!”, che significa “Resto mancia!”. Aggiungo ”Meglio se non viene più nessuno”. Rientrato in sala vedo quasi subito che Marketa si è spostata, piazzandosi sulla mia fila, ma separata di un sedile da quello su cui ero seduto io. Distribuisco lattine e bottigliette; mi siedo: volete scommettere che adesso agitano le lattine di coca e le aprono divertendosi a spruzzarmi? La prendo sul ridere e fingo di volerle ricambiare, ma in realtà la mia lattina l’avevo già aperta mentre la cassiera batteva lo scontrino. Marketa ruota verso di me, distendendo le gambe ed appoggiando i piedi sulla mia gamba destra. Julia le si avvicina da dietro, le parlotta all’orecchio ; ridono forte ed Erika è tagliata fuori, stravaccata sulla propria poltroncina a ruttare; prima forse inconsciamente, poi volontariamente, Marketa struscia la ciabattina destra (ha le gambe distese ed accavallate) contro la mia patta; non so come reagire; lon strusciamento diviene pressione; Mi arriva un colpo da dietro, perché Julia mi si è appoggiata con poco garbo per parlarmi in un orecchio, ma con un volume adatto a farsi sentire da lontano: mi dice di abbassarmi lo zip; ha il viso a due centimetri da me e sarei tentato di avvicinare la bocca a baciarla, ma lei apre la bocca, rutta forte e si ritira ridendo. Marketa si avvicina, piegandosi in avanti e lasciando scivolare i piedi davanti ai miei e, con mal garbo, mi abbassa la cerniera, infila una mano negli slip bed estrae il pistolino, tutt’altro che in tiro, essendo io mentalmente eccitato, ma anche più che sconcertato dall’incertezza della situazione: non ne ho il controllo e forse nemmeno le tre ragazze. Julia mi dice finalmente cosa vuole e Marketa lo ribadisce sonoramente: vogliono vedere che me lo meno; esito un attimo e poi, mentalmente, accetto: mi sposto col bacino in avanti, apro meglio la patta e comincio a muoverlo, perché acquisti un po’ di consistenza; Marketa torna a toccarmi, col piede sinistro, dandomi solo fastidio; comunque comincia a diventarmi duro e loro due apprezzano, per quel che vedono quando il film proietta scene luminose; prima che sia il momento, Marketa mi intima “Sborra!” e lo ripete Julia da dietro “Sborra, dai sborra!”, issatasi a sedere sul mio schienale, ma con la gamba destra sullo schienale a destra per non intralciare la visuale a Marketa. Erika intuisco che è in piedi dietro alla mia spalla sinistra ed osserva senza incoraggiare. Dopo un momento, facendo un po’ di scena coll’agitarmi più di quanto farei altrimenti, segnalo che sto per venire: Marketa mi intima “Sborra qui!”, porgendomi un’infradito ed io obbedisco, schizzandole tutta la suola; venti secondi ed è tutto finito.
Io mi guardo intorno, come per dir loro “E adesso?”, ma penso anche che se avessi voluto combinare qualcosa con loro, l’essermi svuotato non sarebbe un buon inizio. Marketa aggiunge “Ed ora lecchi via tutto!”. Va bene, la faccenda è abbastanza di mio gusto e provvedo ad una leccata lenta ed esibizionistica; loro però mi continuano ad evidenziarsi poco coinvolgibili: mi sarebbe piaciuto se avessero mostrassero almeno un po’ di tette! Ulia sempre seduta sopra di me sposta il suo culetto sopra le mie spalle e Marketa, ripresasi la ciabattina, se la asciuga strusciandola insistentemente sui miei capelli; Julia appoggia i piedi, scalzi, sulla spalliera della poltroncina davanti a me , su cui c’è, ripegato, il mio giubbotto, esclama qualcosa che non capisco e subito mi scarica sulle spalle una pisciata di entità e durata notevoli (Quante birre aveva già bevuto?). Ho camicia, golf e pantaloni infradiciati ed il sedile sotto di me è irrorato; non faccio caso al momento ai miei piedi. Julia torna ad accomodarsi al suo posto ed io mi giro a guardarla: solo ora capisco che indossa una gonnellina di jeans, che si era attorcigliata sedendosi su di me: per questo avevo la sua figa contro il collo e non me ne ero nemmeno accorto; mi viene il dubbio se ce l’abbia depilata e scruto in quella direzione: “Che cazzo hai da guardare, girati!”, mi apostrofa.
Obbedisco e vedo che Marketa si è spostata, sedendosi sulla spalliera della poltroncina davanti a me, puntandosi con le braccia contro la spalliera si tende con le gambe aperte e semidistese a lato delle mie: si solleva la gonnellina a quadri e grida la stessa parola di Julia, che io di nuovo non capisco: a lei vedo abbastanza chiaramente, di fronte al mio pett, il triangolo depilato e le grandi labbra ornate da anellini che luccicano nel semibuio; faccio per abbassarmi a leccargliela, ma da dietro Julia mi afferra per le orecchie, tirando forte, e mi riporta in posizione semiseduta, perché scivolo un po’ sulla schiena; finalmente petto e ventre mi vengono innaffiati da una pisciata forse ancora più colossale di quella di Julia e stavolta la vedo benissimo, nonostante sia in ombra. Quando smette ce n’è però ancora un fiotto e poi ancora un pochino. Non mi viene in mente di offrirmi di leccarle.
La festa è finita e la sbronza si è sicuramente ridotta.
Improvvisamente si alzano ed escono tutte e tre, mentre un mio tentativo di presentazione abortisce nel loro totale disinteresse: Erika mi ringrazia delle bibite offerte e se ne vanno, mentre io mi domando come affrontare il rientro a casa in quelle condizioni. Per fortuna il giubbotto è mrimasto indenne.
Arrivo a casa dopo la mezzanotte: ho deciso in cuor mio che se Lenka vuole farsi il cameriere si accomodi pure; inutile tentare di impedirglielo.
Marta si è divertita a sputtanarmi come cornutissimo ed ha dimostrato vero sadismo verso Lanka e potenzialmente verso me stesso: ma mentre il famoso marchese de Sade torturava a morte i suoi personaggi e provava gusto nel raccontarne umiliazioni e sofferenze sino alla mutilazione ed alla morte, il nostro BDSM è un gioco di ruolo, a cui si partecipa volontariamente e abbastanza nei limiti concordati e comunque deve essere sempre senza conseguenze drammatiche o, peggio, tragiche. E’ davvero frequente che la”vittima” diriga il “torturatore” anziché viceversa.
E’ evidente che Marta ha perso il senso della misura.
Io invece provo gran gusto ad essere indicato come cornuto, benché persuaso che sia un’idea del tutto vuota: sono cioè arciconvinto che non abbia alcun senso che una donna si impegni alla “fedeltà coniugale”, intesa in senso eminentemente sessuale se non vi è portata; e l’esservi portata credo sia principalmente una questione di banale pigrizia psicologica. Sarebbe divertente se uno storico del costume si dilettasse a contare quanti siano nella storia i casi di corna famose di una lei al marito: dal canto mio ho in mente solo una Regina di Francia che partorì una bimba mulatta da un nano nero regalatole dal Re e la madre di Alessandro Manzoni.
Io d’altronde, come ho appena costatato, provo un gran gusto a subire “quel” genere di umiliazioni, non perché non potrei reagire, ma perché ci provo una sottile ma travolgente eccitazione, avendo peraltro spesso dimostrato a me stesso che se invece qualcuno cerca di fare il furbo od il prepotente con me, fuori da un ambito BDSM, casca davvero malissimo.
E difatti proprio mentre rimugino sul mio io, rientro a casa e sento un leggero tramestio in cortile, sul retro dell’androne di ingresso: vado a vedere e sorprendo il nostro bravo cameriere che sta caricando nel bagagliaio della propria utilitaria una cassetta di plastica piena e pesante; mentre mi avvicino alle sue spalle si accorge che sopravviene qualcuno e cerca inutilmente di chiudere il bagagliaio: troppo tardi! Non avrei pensato che fosse così cretino.
Avrei supposto che puntasse a divenire un privilegiato scansafatiche, approfittando di essere divenuto l’amante della proprietaria (anche se in realtà qui è tutto inequivocabilmente intestato solo a me).
Glielo dico fuori dai denti e quello risponde che non gliene importa nulla di essere l’amante di una vacca che la dà via a tutti.
Che mentalità piccolo borghese!!
Gli sibilo di restituire le chiavi che ha in dotazione e di non farsi più vedere da queste parti, altrimenti domani mattina vado dalla polizia e finisce dentro imputato di furto aggravato. Qui non scherzano ed il valore della mercanzia nella cassetta non è irrilevante: in quel momento, tra l’altro, scopro che lo sforzo di far entrare nel bagagliaio la cassetta piena che faticava a starci derivava dal fatto che due ulteriori s**toloni occupano il sedile posteriore.
Bestemmia e mi da le chiavi.
Gli faccio lasciare a terra tutta la refurtiva e guida l’auto fuori dal cortiletto, che richiudo alle sue spalle, con la ex sua chiave. So benissimo che lui e la nostra cameriera si sono lasciati da più di un mese e nemmeno si salutano incrociandosi sul lavoro; un problema in meno con la sua dipartita. Non vado ancora a coricarmi, ma cerco su internet una società specializzata in allarmi: domani mattina andrò lì e se tornasse, credendo di poterla fare franca, troverebbe una brutta sorpresa.
Non riferisco nulla a Lenka, né del cameriere né di quanto avvenuto al cinema: se lei non dialoga, non ho motivo di rincorrerla.
Dopo tre giorni arriva la “sorellina” Klaudia. Le assegno una cameretta e, prima ancora di essersi sistemata, mi rammenta la promessa riguardante gli stivali. Però ammette di non ricordarsi con precisione dov’è il negozio nella cui vetrina li ha visti alcuni mesi fa. Questo mi convince che è davvero femmina.
Lenka la accoglie con discreto disinteresse.
La prima sera scopro che nutre la stessa passione di Lenka (dell’attuale Lenka, prima non era così) per alcune cretinate seriali televisive. Io sto in ufficio a farmi i cazzi miei. Credo di raggiungerle più tardi, ma, quando arrivo nel salottino privato dove c’è la tv, Lenka non c’è. Io mi siedo sul divano e Klaudia mi chiede esplicitamente se posso farle vedere un film che ha lei: “mettilo pure!”, intanto vado in camera e costato che Lenka si è già coricata. Torno da Klaudia: è una commedia tedesca, ha per protagonista una trans, ma all’inizio sembra più romanticume che qualcosa di spinto. Klaudia è semisdraita al mio fianco, sotto una coperta. Dopo una decina di minuti si arriva ad una scena di sesso e Klaudia si stringe al mio fianco, sollevando sopra di me il lembo della coperta, benché io non sia affatto freddoloso; la mia mano sinistra va verso di lei e costato con una certa sorpresa che è nuda sotto la coperta; insisto con la mano e lei si stringe ulteriormente a me, girandomi la schiena e scrutandomi al contempo sopra la sua spalla destra: ho le sue chiappe in mano e, mio malgrado, sono eccitato; è un bel culetto. Non resisto. Non ho motivo alcuno di resistere e qui in Slovacchia con una quindicenne è legale. Butto per terra la coperta e la giro con la parte anteriore del corpo verso lo schienale del divano: indosso una tuta casalinga e sento che il mio cazzo è già un po’ duro; glielo avvicino, scappellandolo con le dita e le entra subito meravigliosamente, ancora meglio che a Lenka.
Comincio ad incularla, ma l’astinenza a cui Lenka mi ha condannato nelle ultime settimane fa subito il suo effetto e le sborro in culo dopo meno di tre minuti.
Ho particolarmente apprezzato che non si sia sognata di parlarmi di preservativi e con abbia pronunciato la solita frase sgradevolissima “Non farmi male!”, che troppo spesso ho udito da tante ragazze.
E’ proprio allora che Lenka sopraggiunge, ne ignoro il motivo. Capisce al volo la situazione, non pronuncia parola e se ne torna in camera da letto, sempre a piedi nudi. Io lascio Klaudia col classico “Torno subito” e vado a vedere di là: Lenka è rannicchiata sotto le coperte e finge di dormire. Torno da Klaudia, che ha recuperato la sua coperta ed si è rimessa guardare il film; le tolgo di nuovo di dosso la coperta, mi chino su di lei e le prendo in bocca il pistolino; lo succhio avidamente: dopo cinque minuti mi sborra in bocca, senza che le sia diventato duro. E’ lungo forse sette centimetri e largo due: fa bene ad essere una ragazza, anche se di tette non ha nemmeno l’ombra!
Vado a dormire.
Io però sono disorientato.
Non sostengo che, come quando si cade da cavallo bisogni subito risalirvi. Ma le conseguenze psicologiche di quanto accaduto alla festicciola mi sembrano eccessive e principalmente mi domando se Lenka tornerà mai ad essere quella che ho sposato.
L’indomani in serata scopro per caso che nella solita saletta del ristorante siedono a cena Pavol e Marta, con due sconosciuti; non volendo farmi coinvolgere svicolo via rapidissimo. Ripasso dopo un momento e Lenka siede con loro e mi fa segno di mettermi al tavolo: poiché esito un momento mi sbraita : “Siediti e non fare storie!”
Mi verrà poi il dubbio che il suo improvvisamente mutato atteggiamento possa dipendere dalla presenza di Klaudia e da un minimo di conseguente gelosia.
Gli altri due al tavolo sono inequivocabilmente stranieri; con ciò intendendo molto più stranieri di me, come denuncia il loro colore scuro: difatti come subito me li presenta Pavol, sono una coppia senegalese. Non parlano decentemente slovacco, ma lui in inglese e con lei in fufulda; lei parla solo fufulda e francese.
Lui è un gran chiacchierone, lei davvero taciturna, forse però ha mal di gola, perché parla come se avesse una abbassamento vocale. Lui si alza per andare ai servizi e non posso che compiacermi del suo fisico: sarà alto due metri tutti ed ha una gran pancia; i maschioni neri a me piacciono esattamente così e lo seguo girandomi, mentre si allontana, a gustarmelo con lo sguardo.
Lei ha il volto piuttosto magro, ma il corpo non lo vedo. Pavol spiega che lavorano per la fabbrica che è stata aperta da poco, alcune centinaia di metri dietro la piazza, nella nuovissima zona industriale. Poi si corregge: è lui che lavora lì.
Lenka si sfoga (finalmente), rinfacciando a Marta quello che le è successo alla festicciola BDSM, ma dichiara con mia enorme soddisfazione che l’infiammazione, che le si è estesa a tutto l’addome, ormai le è passata. Marta guarda nel piatto senza fiatare risposta. Lenka aggiunge che si sente pronta a riprendere una vita attiva, ma inopinatamente mi rinfaccia quanto da me fatto con Klaudia. Pavol e Marta però capiscono la mia situazione, dopo diverse settimane di astinenza e mi spalleggiano; mi rafforzo nel sospetto che Lenka sia divenuta un pizzico gelosa a causa della “sorellina”.
Io, psicologicamente specialista nelle “fughe in avanti” vuoto il sacco, raccontando la scena verificatasi l’altro giorno nel cinematografo. A me piace, e lo dichiaro apertamente, fare il sottomesso, ma con degli sconosciuti è difficilissimo non solo combinare, ma soprattutto trarre piena soddisfazione.
Lenka è ancora un po’ polemica con Marta, che finalmente profferisce delle formali scuse. Cala un silenzio imbarazzato. Il senegalese torna dai servizi e si accorge subito di una certa tensione nell’aria: si siede anche lui in silenzio.
Per rompere la tensione chiedo allora cosa è successo alla festicciola dopo che noi due ce ne siamo andati di corsa. “Niente di particolare” risponde Pavol, tranne che Marta e lui hanno annunciato di essersi messi insieme. Ci congratuliamo, ma sono un pizzico stupito, perché credevo che non fosse tipa da farsi trombare da uno come Pavol. Marta precisa che l’annuncio è stato dato dopo che Pavol e lei si erano esibiti in un minitrenino: Pavol la inculava mentre lei con uno strappone inculava uno dei due schiavi che, a sua volta inculava l’altro; tutti in piedi, ovviamente, con il primo appoggiato al bancone-bar (invidio uno che riesce a tenerlo duro mentre lo prende in culo, perché a me si affloscia subito); aggiunge che ha anche festeggiato al lavoro con un giro di bicchierini l’avvenuto fidanzamento, comunicando il proprio cambio di residenza, perché è già venuta ad abitare qui, con Pavol. Questo, penso io, dovrebbe ridurre un certo senso di rivalsa verso Lenka e me, essendosi anche lei sistemata. Interviene Amin, il senegalese, dichiarando di voler essere lui a sposarli, quando decideranno di procedere. Siamo tutti e quattro stupefatti. Allora ci spiega che in Senegal la maggioranza della popolazione è costituita da mussulmani, la minoranza da cattolici; ma quando viveva negli USA lui è divenuto pastore protestante di una della miriade di confessioni esistenti là.
Amin si mette a questo punto a spiegare a Pavol, in inglese, qualcosa del proprio lavoro ed io riascolto dentro di me quanto prima sentito da Marta. “Ma scusa, tu non sei della polizia di qui?” “No di Sxxx” (è un sobborgo a pochi chilometri, ma è comune a sé stante) è la risposta tranquilla. “Ed allora cosa centravi tu con il famoso pissing qui fuori?” esclamo talmente forte che tutti mi osservano, perplessi, interrompendo i propri discorsi. Marta replica poco convincente “Ma no, sono pettegolezzi che girano; noi ed i colleghi di qui siamo sempre in contato.” Non sono per niente convinto: “Se è solo un pettegolezzo che ti è arrivato, non hai nessun segreto d’ufficio e puoi benissimo rivelarmi chi mai si è lamentato!” Marta e Pavol si guardano, sinchè lui interviene “Sono stato io.” “A lamentarti? Ma se l’avevi deciso proprio tu?” Momento di imbarazzo, mentre i due senegalesi non hanno capito nulla, tranne la parola “pissing”.
Finalmente la verità: non c’è stata lamentela alcuna, da parte di chicchessia, ma era uno scherzo di Marta, suggeritole da Pavol.
Ammetto che quando l’avevo vista in uniforme non avevo pensato che potesse essere in servizio in un altro comune. Per quel poi che ne può importare a me!
Lenka e Marta si guardano fisse, sinchè si baciano limonando mezzo minuto: è il loro atto di riconciliazione formale.
“Voi siete sposati”, ci chiede allora Amin; “Sì” rispondo io, “No” risponde Lenka.
Ridiamo entrambi e spiego che ci consideriamo sposati, ma non abbiamo firmato nulla davanti ad un delegato o ad un sindaco. “Siamo come sposati, ma in realtà conviventi”, precisa Lenka. Stavolta ha ragione. Però aggiungo “Anche per il fidanzamento non siamo andati dal notaio.”
Amin si alza in piedi lento e forse solenne e penso per un attimo che voglia celiare dichiarandoci, lì sui due piedi, -marito e moglie-; viceversa si limita a porgermi un biglietto da visita. Lenka se lo fa passare e … ne capisce quanto me: è scritto in inglese, in francese ed in fufulda, ma, non conoscendo nulla dell’ambito in cui si muove la faccenda, intuisco solo che lui può celebrare matrimoni. “Ma con quale validità per la legge slovacca?” “Nessuna.” replica chiaramente, lapidario.
Seguono ancora un po’ di chiacchere e poi ci lasciamo. Lenka, a mo’ di saluto, si dichiara pronta a tornare a “divertirsi” purchè non si passi il segno, precisando che il guaio che c’è stato non elimina la voglia di base. Ed io replico dottamente “Abusum non tollit usum”, tranquillo che nessuno mi abbia capito. Alla faccia del fufulda.



CAPITOLO OTTAVO: VERSO LE NOZZE

Io quella notte fatico ad addormentarmi, e mi rigiro nel letto, rimuginando sulla questione della cerimonia di nozze: sì perché la verità è che nelle passate settimane mi era sembrato di dover rimettere in discussione la relazione che ho con Lenka, con immaginabili conseguenze anche per i bambini. Ad un certo punto mi accorgo che anche lei è sveglia e le dico se non le sembra il caso che vada a recuperarli dalla nonna, dove sicuramente si saranno divertiti a fare i selvaggi. E’ assolutamente d’accordo, ma mi chiede subito cosa ne penso delle nozze; mi dichiaro favorevole, ma non ho particolare voglia di organizzarle. Buona notte e dormiamo.
Il giorno seguente la cameriera mi chiede se ho provveduto a sostituire il suo Ex. No, non me ne sono occupato, ma le ribatto chiedendo a lei se l’ha sostituito (nel suo cuore). “Forse.” Risponde sibillina. Peraltro mi comunica che una ragazza che l’aveva aiutata la sera della cena dei coscritti sarebbe disponibile. Non sono contrario, ma due cameriere donne non sono in grado di spostare i bidoni della birra alla spina. Allora ce ne sarebbe un’altra che, lei mi dichiara, “è forte come un toro:” “Falle venire domani che parlo con loro!” Concludo.
Lenka mi dice che Marta l’ha chiamata chiedendole se abbiamo pensato alle nostre eventuali nozze: “E lei alle sue?” chiedo di rimando. Non lo sa. Però è chiarissimo che Lenka ci terrebbe.
Dove celebrarle? Qui nel nostro salone, che, togliendo i tavolini potrebbe contenere forse un centinaio di persone (un po’) strette o nel sotterraneo di Pavol e poi venire qui per un rinfresco?
Dobbiamo pensarci su, ma mi è chiaro che le due ragazze ci stanno lavorando di fantasia.
Chissà perché alle donne piace tanto sposarsi?
Decido di dichiarare a Lenka che sono disponibile, purchè non me ne debba occupare io. Scoprirò successivamente che ha interpretato questa mia dichiarazione nel senso che il tutto debba per me essere una sorpresa.
Pavol e Marta prendono l’abitudine di venire qui spesso alla sera a confabulare con Lenka ed Amin sovente li raggiunge con la moglie, di cui ho finalmente appurato che ha quella strana voce non a causa di un persistente abbassamento vocale, bensì perché prima di essere operata era di sesso maschile. Ho pensato che è proprio una stupidaggine farselo togliere, perché un cazzo è pur sempre un qualcosa di apprezzabile, soprattutto in una donna. Non so però come adesso sia “lì”.
Una sera che sono fuori per una riunione con colleghi del settore, molto impegnati ad essere lamentosi, rientro alle venti e vedo oltre ai soliti cinque altri quattro maschi neri, che hanno già mangiato. Amin viene da me, che sto dietro al bancone a fare un confronto tra i prezzi praticati da noi e quelli degli altri, e mi dichiara che gli serve una camera: sono meravigliato, sapendo che abita ad un paio di chilometri, verso Kezmarok; precisa subito che gli serve una camera grande, a tre posti, perché vogliono andare su tutti a fare la festa a Lenka, così che sia gravida di uno di loro il giorno delle nozze. Io percepisco qualcosa muoversi dentro i miei slip. Non so che dire. Consegno balbettando la chiave della camera 5, come Lenka mi grida di fare dal tavolo cui è ancora seduta. Si avviano in colonna per le scale ed io faccio per seguirli, ignorando che Marta è rimasta seduta. “No, tu resti qui con me!” mi apostrofa per l’appunto Marta, mentre Lenka e gli altri stanno salendo. “A far che?” “Ho bisogno di compagnia.” Mi sembra del tutto stravagante, per non dire controproducente, che io non possa nemmeno assistere all’ingravidamento della mia sposina e glielo dico. “Stai tranquillo, oggi è solo una prova generale, perché oggi non è fertile.” Rimugino che è vero, non ci avevo proprio pensato.
Restiamo lì a guardarci negli occhi e qualunque cosa mi dica mi trova distratto, essendo la mia mente al terzo piano.
Dopo un po’ non ne posso più, ma arriva in quello Klaudia, radiosa perché finalmente ha trovato un negozio che vende gli stivali che brama, anche se non sono quelli che aveva visto mesi fa. Decido di salire in camera con Klaudia, a guardare la tv e chiedo a Marta se viene su anche lei. Esita, ma “Ma sì, dai.” Risponde poi. Saliamo al primo piano, sempre domandandomi io quanto dureranno.
Mi addormento tardissimo, ancora solo, dopo che Klaudia si è coricata da un pezzo e Marta se ne è andata sull’altro lato della piazza.
Il mattino seguente Lenka non è ancora scesa ed io salgo a vedere cosa è successo: trovo Amin che si sta rivestendo e gli altri se ne sono già andati via, insalutati ospiti, senza colazione. Lenka mi spiega che questa notte si trattava di scegliere a quale (od a quali) fare l’onore di offrire il proprio ventre per il concepimento. E chi ha scelto? Ma neanche da chiedere, naturalmente il prode Amin! Non mi dovrò quindi meravigliare vedendolo tornare presto alla carica.
Dopo pochi giorni Lenka ha il garbo di preavvertirmi che venerdì, sabato e domenica saranno i giorni deputati al metterla incinta. “Ed io?” domando. “Come .. e tu? Vuoi rimanere incinto anche tu?” Se fosse possibile forse mi piacerebbe. “Ma quale sarà il mio ruolo durante quei tre giorni, secondo le vostre mirabili decisoni?” “Dovrai collaborare!” Ci penso su un po’ “Non mi basta!” esclamo. Amin mi piace moltissimo: abbiamo tutta la settimana perché trovi tempo e voglia di dimostrare anche a me la sua virilità. “Ma guarda che ce l’ha grosso!” Bene, Marta mi aiuterà sicuramente volentieri, perché possa usufruire del cazzo di Amin, allargandomi con uno dei suoi strapponi. A Lenka l’idea piace assai, ma bisogna vedere se Amin stesso non ha blocchi psicologici ad incularsi un maschio per nulla effeminato.
Lunedì mi si presenta la cameriera assieme ad un gran pezzo di Marcantonia, che mi sembra di conoscere; Quella mi dà del “TU” e mi ricorda che l’ho conosciuta alla festa del suo 18° “Certo, eccome se mi ricordo!”. Ha fatto per qualche anno la camionista, ma adesso è senza patente per un anno, a causa di un incidente occorsole. Non voglio sapere altro, è assunta! Penso che darà inevitabilmente un grosso slancio alle porno vicende della mia vita.
Mi domando in verità perché prima volevo assolutamente non coinvolgere il personale, mentre adesso butto il cuore oltre l’ostacolo; ho perso ogni ritegno. Col cameriere licenziato è stato diverso: altro è divertirsi, altro rubare. E poi debbo confessarmi che mi era diventato proprio antipatico.
Lunedì stesso Amin arriva puntualmente alle diciotto e saliamo in camera, senza pramboli. Mi chiarisce peraltro che negli USA si è ciulato parecchi maschi, con reciproca soddisfazione.
Io mi sono unto il culo all’interno con buona crema più volte nel pomeriggio ed adesso ho dentro un piccolo dildo: andiamo in una camera dove ho peparato un tavolino solido con sopra una coperta ripiegata: Lenka assiste seduta sul letto, contro la spalliera, con di fianco Lucia, la nuova cameriera ed a fianco di questa l’altra, Ana; io non ho mosso obiezione alcuna alla loro presenza. Pavol non è venuto. Mi metto con la schiena sul tavolino, sollevo in aria le gambe che Marta afferra alle caviglie e questa, toltomi il piccolo dildo, mi affonda lentamente uno strappone nero di medie dimensioni, con su un condom, per non doverselo poi ripulire più di tanto. L’operazione procede senza difficoltà. Ed ecco che si fa avanti Amin, ma non ce l’ha un granchè in tiro, quindi chiama Lenka ad inginocchiarsi e succhiarglielo un po’.
Dopo un momento fa segno a Marta di levarsi e mi attacca: debbo dire che temevo altro, perché mi entra senza particolari difficoltà nonostante le notevoli dimensioni, anche se provo una sensazione di troppo pieno in zona intestinale. Mi scopa troppo a lungo e ben due volte debbo richiedergli di ungersi di nuovo col gel.
Dopo una ventina di minuti tutti capiamo che sta per sborrare e, tra versacci infami della sua soddisfazione, le quattro ragazze vociferano ed applaudono. Me lo toglie dal culo, lo esibisce ancora in tiro e mi dice di ripulirglielo con la lingua: non sono entusiasta, ma mi sembra pulito e recito mentalmente “Chi è causa del suo mal pianga se stesso!”.
Non so se voglia insistere, ma non mi sembra, finchè dichiara “Domani te la do da bere e dopodomani ti sborro sul corpo.” Promessa più attendibile di quelle elettorali.
Lucia il giorno dopo mi chiede come voglio festeggiare la subita inculata: non pensavo di doverla festeggiare. Replica che quando si perde la verginità si festeggia sempre. Ma io di quando ho perso la verginità anale mi ricordo sì, ma è cosa lontana. E non festeggiai affatto. Erano due amici che mi fecero sbronzare e mi fecero il culo: avevo sedici anni, in campeggio e non soffrii per nulla; forse ne avevo persino voglia. Non li ho più visti dopo quella vacanzina, ma ricordo che loro poi per alcuni giorni si comportarono con me come se mi avessero fatto fesso, mentre io al contrario mi sentivo diventato più adulto. Mi pareva una iniziazione. Mi scappa di chiederle “E tu?” “Io sono ancora vergine, sia di culo che di figa!” dichiara leziosa. Ci credo poco, ma tant’è, potrebbe anche essere vero. Che gusto rifiutare pregiudizialmente il cazzo!? Non la capisco proprio.
L’indomani e posdomani con Amin tutto si svolge come previsto e la prevedibilità toglie larga parte alla mia emozione; non però alle ragazze che si entusiasmano a vedermi bere la sborra e schizzato su tutto il corpo: per quanto mi riguarda, se non fossi io ad averlo voluto, cercherei di defilarmi, ma mi eccita vederle tanto eccitate. Per mia fortuna, l’ultimo dei tre giorni, alla fine, Marta ha un’alzata d’ingegno e dispone che io mi inginocchi nella vasca del bagnetto e, prima le 4 ragazze, poi lo stesso Amin mi piscino in bocca: per questo, adesso l’ho capito, si era portata in camera birrette per tutti. Non vorrei fare la figura del Puffo Brontolone, … ma a me la birra chiara non piace ed il sapore del loro piscio risulta proprio quello.
Pavol è brillato per la propria assenza: è forse invidioso di Amin?
E finalmente arriva il fatidico fine settimana, con i tre giorni previsti di ovulazione.
Andiamo in camera e di nuovo le due cameriere vogliono essere presenti, dopo aver chiuso la porta d’ingresso ed appeso un cartello manoscritto: “apriamo fra due ore”, senza però indicazione alcuna dell’ora di affissione.
Lucia si interessa vivamente all’altra cameriera (continuo a definirla così solo perché si chiama pure lei Lenka, come la mia dolce metà; in hotel la chiamiamo Lenicka, col diminutivo, per distinguerla); L’altra per la prima mezzora resiste debolmente, ma non si sogna proprio di allontanarsi da Lucia, che poi trionfa e le infila buona parte o tutta la mano in figa: non so con precisione, perché quella non s’è tolta la gonna; Sento solo i suoi fortissimi gemiti.
Ma la scena centrale è tutta per Amin, che non ha nessuna difficoltà a penetrare Lenka, ma giustamente vuole che prima io glielo succhi appassionatamente e quindi sia io ad infilarlo dentro: è bello che sia io a farlo. Ma è una rinuncia non sentire il buon sapore della sua sborra.
Io sono orgoglioso sin da adesso di avere la mia donna che si fa mettere incinta da un bel maschio nero e fiero di lei.
Amin vuole dimostrare ai presenti la propria possanza e le sborra dentro in tutto quattro volte: ogni volta si fa poi ripulire da me, che ci provo un gusto matto, ed almeno mi offre ancora un pochino della sua gustosissima sborra; io mi lecco i baffi dalla soddisfazione.
Alla fine siamo tutti stanchi, anche chi come Marta non ha fatto un bel nulla, e scendiamo a pranzare.
L’impresa si ripete tale e quale per altre due volte, ma quando pensiamo che abbia avuto fine e che dobbiamo aspettare il test di gravidanza, Amin ritiene invece più saggio farlo ancora una volta, solo che dopo aver sborrato una bella schizzata quasi da fuori figa fa intervenire Marta che spinge in fondo il suo seme utilizzando il famoso “braccetto” di lattice, chiaramente senza ricadere nell’errore assurdo, bensì lubrificandolo con normalissimo gel versato dal flaconcino originale; mi pare evidente che Amin e Marta dovevano essersi accordati prima al merito. E’ però a questo punto che arriva l’imprevisto (almeno da me imprevisto): Marta si infila due guanti monouso, li unge a loro volta uno con l’altro e con la mano destra penetra Lenka, che geme e si contorce, ma sembra felice. Poi sfila il braccio e tocca ad Amin ripetere la medesima operazioni: ha però mani grosse il doppio delle mie e dopo una ventina di minuti non ha ancora potuto penetrare Lenka nemmeno con le nocche, per cui rinuncia deluso.
Marta conclude dichiarando che presto, da sue informazioni, sarà obbligatorio sfondare con la mano la figa delle ragazze da riproduzione, per far risparmiare tempo e fatica al sistema sanitario: qualcuno ride divertito.
Abbiamo fortuna: dopo pochi giorni il test dà esito positivo. Oppure, forse, abbiamo sfortuna, perché questo esclude la ripetizione della solenne procedura.
Da quando Pavol è ufficialmente in coppia con Marta non lo si vede quasi più: boh?!
Ho infine comprato a Klaudia i promessi stivali, anche se non sono quelli che aveva visto in una vetrina a suo tempo: sono neri, alti a mezza coscia con un tacco non troppo sottile e con la suola abbastanza spessa: roba da discoteca. Di solito così in Italia li indossano le giovani romene, ma qui le romene sono ancora meno degli oriundi d’Africa, che adesso sono arrivati al seguito delle grosse aziende americane. Qui abbondano viceversa i rom, presenti in gran quantità in molti villaggi.
L’ecografia presto conferma il test: fissiamo le nozze per un sabato ai primi di giugno. Le organizzano abbastanza alle mie spalle, Marta, Amin ed anche Pavol, che finalmente scopro si è eclissato per timore di avere qualche strana responsabilità per gli eventuali alimenti per il nascituro: è chiarissimo che di questioni legali non capisce nulla.



CAPITOLO NONO:
LA CERIMONIA DI NOZZE


Lenka è al sesto mese e certo si nota da lontano; la nascitura è una bambina. Io già mi solluchero assai, immaginandola mulatta e con i capelli crespi. Dovunque andremo sarà evidente a chiunque che (se non è adottiva) io sono un gran cornuto. Sono già pronto a rispondere a chi mi chiederà se è adottiva “No, noi amiamo entrambi il cazzo nero!!” Peraltro mi deciderò a far fare anche l’esame del DNA della primogenita.
La cerimonia ha inizio nella saletta di Pavol ed invitati sono quelli che erano venuti alla festicciola, più il personale nostro, più qualcun altro: in tutto una settantina, stipati; la presenza femminile è nettamente superiore a quella vista all’altro incontro; c’è anche un po’ di parentado di Lenka, curioso di vedere una cerimonia “alternativa”. La gente ha anche gradito la dichiarazione diramata con gli inviti orali, che nessuno deve pensare di doverci fare regali. Solo, se qualcuno vuole, può omaggiarci di cornini, di capriolo od altro: in moltissime case ce ne sono e molti se ne liberano volentieri perché ormai fuori moda.
Io sono vestito con ciabatte rosa, infradito ma femminili perché un po’ più zeppate di quelle unisex, un corpetto rosa e delle polsiere rosa; al collo un collare rosa con guinzaglio: per il resto sono nudo ed i miei capezzoli spuntano sopra il corpetto, così come sotto si vedono genitali e chiappe.
Lenka ha un corpetto nero, sandali da schiava con lacci sino al ginocchio e polsiere nere. Anche lei porta il collare nero allacciato al guinzaglio. I seni le coprono parzialmente il bordo superiore del corpetto e chiappe e figa sono ben visibili.
Le sue due damigelle sono la cameriera Lenicka, vestita di un abito di tulle piuttosto trasparente, ma forte nel gioco del vedo e non vedo, e Klaudia, che calza i famigerati stivali ed indossa solo un giacchino di pelle con borchie, un po’ punk; la differenza di disinvoltura tra le due si evidenzia di primo acchito, perché Klaudia, come me, ha i genitali al vento. Significa che ormai si è messa in pace con la propria ambiguità sessuale.
I miei due paggi sono i due schiavetti della festa, completamente nudi, tranne che per i dildi anali con la lunga coda equina e normali ciabatte rosa infradito.
L’aver rinunciato a qualsiasi regalo c’ha dato libertà di scelta.
Amin celebra, ma il discorsetto, per fortuna brevissimo, non è in grado di pronunciarlo e Pavol ne fa le veci. La donna di Amin, Jo, è seduta su uno sgabello da bar alzato al massimo, appoggiata con la schiena alla parete alle nostre spalle e quindi sulla destra del celebrante e tiene i piedi scalzi sopra la mia spalla destra e la sinistra di Lenka, la quale siede ovviamente alla mia destra e come me su una bassissima panchetta. Ogni pochi minuti quella ci mette i piedi davanti alle bocche, perché glieli baciamo e le succhiamo le dita: ben volentieri, io ho un debole per i piedi neri. Noi nubendi non sediamo di fronte al celebrante, ma di lato alla sua destra: egli indossa una tunica verde lunga al ginocchio con sul petto il simbolo del “MOVIMENTO per il CAZZO NERO”. E’ scalzo come Jo, la quale ha addosso un vestitino di mussola bianca (molto virginale, penso io con ironia).
Anche gli invitati e Pavol stesso indossano prevalentemente abbigliamento fetish e S/M, ma non tutti, perché qualcuno, come per esempio la nonna dei miei bimbi, è in “civile”. Qua e là si vedono anche collari e guinzagli.
Io apprezzo la nostra disposizione perché mi permette di visionare gli invitati, almeno quando non sto baciando il piede sinistro di Jo. Davanti al celebrante ci sono i due testimoni: Lucia per Lenka e Mark, un compare di Amin che peraltro conosco appena, per me.
Pavol si complimenta con me, perché dice che da un quarto di secolo è attivo nel mondo del bdsm, ma una simile occasione non l’aveva ancora vista: obiettivamente non ne ho alcun merito, perché non l’ho organizzata io, mi sono solo reso disponibile.
Indi Pavol prende la parola verso il pubblico e pronuncia il suo discorsetto, il cui testo sarà distribuito in varie copie ai presenti, per cui sono in grado di riferirlo totalmente, anche se ero discretamente occupato con i piedi di Jo.
“ Oggi qui festeggiamo non solo la morte del mito della verginità, a cui non crede più nessuno, né qui da noi né altrove, ma anche la morte di altre idee aberranti: quella che marito e moglie debbano fare sesso solo tra di loro, quella che si debba fare sesso solo con persone dell’altro sesso, quella che si debba appartenere al sesso di nascita, quella che i figli si facciano solo col coniuge; quindi oggi celebriamo il trionfo della libertà. Libertà che è anche sapersi rendere schiavi di un altro. O fondare rapporti multipli, non solo cioè di coppia. I qui presenti coniugi salutano con allegria l’arrivo di un bebè figlio del nostro amico Amin, che ora provvederà a farne marito-e-moglie, ma quale sia più il marito e quale più la moglie non ci è dato sapere, perché, come vedete, lui indossa capi rosa e lei neri. E’ la fine di tutte le ipocrisie, perché un uomo di mezza età e benestante si lega con una ragazza senza mezzi, con il chiaro patto che vivranno altrimenti da come si usa e senza sotterfugi, perché lei non viene a dipendere da lui, ma lui è obbediente a lei.
La parola ad Amin!”
Pavol non è certo un oratore ed il pubblico ne apprezza la sinteticità.
Breve scroscio di applausi ed Amin, sostituendosi a Pavol di fronte ai testimoni ed agli invitati inizia a recitare formule in fufulda, di cui nessuno ovviamente capisce un’acca. Dopo un paio di minuti Amin si gira a destra verso di noi e ci fa segno di venire a lui e poi di inginocchiarci davanti a lui sugli sgabelli innanzi ai testimoni. Mentre lo facciamo si alza la verde veste sotto la quale non c’è biancheria e ci offre il cazzo né duro né molle perché lo possiamo succhiare a turno ed un po’ anche insieme. Lo facciamo e molti del pubblico ci incitano; Lucia alle spalle di Lenka ne afferra il guinzaglio, solo per tenere le mani occupate ed il mio testimone la imita col mio: ma se tirassero non potremmo più succhiarlo ad Amin. La faccenda dura un po’; poi Amin sta per venire, impugna l’arnese e ci schizza in faccia, invitandoci a leccarci reciprocamente. Sempre buonissima sborra.
Infine a me appende una targhetta con la “L” al percing che reco al capezzolo sinistro, in segno di appartenenza a Lenka; lei porta già, da sempre, simile targhetta alle grandi labbra, ma dopo il parto è deciso che si aggiungerà una “A”: a destra la “P” di Pavol, a sinistra quella nuova per Amin.
E’ finita e siamo sposati.
Ci buttiamo addosso, tutti noi mezzi nudi, dei mantelli ed usciamo all’aperto per attraversare la piazza: il pubblico ci ha inevitabilmente preceduto e ci osanna “Viva gli sposi, viva la troia, viva la sposa, viva il cornuto”.
Entriamo nel nostro hotel e nella sala è già pronto un adeguato buffet: io e Lenka, nonché paggi e damigelle giriamo ad offrire le cibarie, mentre per le bevande si servono tutti volentieri da soli. Tanti si divertono a palparci culi e tette, anche a quella che voleva fare la santerellina col vestito solo un pochino trasparente. Molti parlano di darsi da fare per organizzare incontri BDSM e noi li invitiamo a far pure base da noi, se non vivano troppo lontano.
Mia suocera sembra già sbronza ed è divertitissima della cerimonia; mi viene il dubbio che voglia risposarsi anche lei. Anche i presenti che nulla sapevano del nostro modo di vita non osano fare la figura della beghina e si sentono in dovere di complimentarsi per la nostra spiritosaggine.
Il mio testimone mi si avvicina e mi porge un foglietto, che si è fatto scrivere da qualcun altro perché non sa scrivere in slovacco: mi dice che si prenota per la prossima gravidanza; gli sorrido allegro, ma capisco che quello lo prende per una promessa e … mi bacia sulla bocca, facendomi lingua in bocca: è completamente diverso da Amin, di statura normale e molto più giovane, così ci mettiamo a limonare in mezzo ai presenti. Mi viene subito una gran voglia di succhiarglielo e di bere la sua sborra, anche perché inevitabilmente eccitato dall’essere io ancora seminudo; chissà se ce l’ha grosso. Ma non me la sento di mollare tutti ed appartarmi con lui in una altra stanza.



CAPITOLO DECIMO: CONCLUSIONE

Gli invitati si decidono ad andarsene solo quando hanno spazzolato cibi e bevande; molti mi pare non siano in grado di guidare e qualcuno si fermerà qui a dormire da noi, ovviamente gratis. Mark però non ha pensato di prenotare e non ci sono più camere libere: perciò accetto che passi la notte con me, tanto Lenka trascorrerà la notte delle nozze con me assieme ad Amin. Ed io ho proprio voglia di Mark: chissà come ce l’ha?
Mark d’altra parte ha bevuto troppo, ma questo sembra migliorare la sua capacità linguistica, vincendone la titubanza da insicurezza; lui non è senegalese, ma afroamericano e parla quasi solo in inglese; così (in vino veritas) mi spiega che Amin partecipa ad una gara internazionale (o qualcosa del genere) dove i protagonisti guadagnano punteggi tante più ragazze/donne bianche ingravidino, purchè siano sposate, conviventi od almeno fidanzate; non mi pare possibile che sia solo una sua fantasia, ma non ne sa molto. Io casco bellamente dalle nuvole.
Questo significherà verisimilmente che Amin dopo il prossimo parto si eclisserà verso nuove avventure? Chiedo a Mark se è al corrente di altre precedenti gravidanze esplicitamente volute, di donne occupate; “Parecchie” mi risponde, prima di venire dagli USA in SK. Penso che allora sarebbe anche bello e divertente farle incontrare, ma mi sembra quasi impossibile rintracciarle.
Nelle settimane seguenti quanto confidatomi da Mark mi appare sempre più veritiero e comprendo che anch’egli vorrebbe seguire le orme di Amin, ma non è disponibile a rivelarmene di più, sempre che ne sia davvero ben informato.
Provo ad affrontare direttamente l’argomento con Amin, ma glissa apertamente.
Le settimane passano, il giorno della gravidanza è arrivato e tutto procede normalmente: è oggi raro rispetto a secoli andati che si abbiano difficoltà di parto, tanto più che la madre ha già avuto in precedenza due gemelli.
Mark si è stabilito da noi ed io dormo ormai abitualmente con lui.
Amin si fa fotografare volentieri con me, Lenka e la neonata (che decidiamo di chiamare Adalia) ed io subodoro che Mark mi abbia raccontato il vero, anche per prepararmi a qualcosa che ancora non so. Quando Adalia raggiunge il mese, Amin viene a salutarci, annunciandoci che si trasferirà in Birmania, per lavorare per la futura fabbrica della medesima multinazionale. Mark non ha ottenuto sul lavoro quello che sperava, perché abile a riparare un po’ tutto, ma poco specializzato e, soprattutto, non si sa “vendere” bene quanto Amin.
Io sto meditando che ce ne andiamo anche noi, magari al sud, forse anche con Pavol e Marta. Qui c’è poco futuro, per complesse ragioni socio-politico-economiche. La difficoltà naturalmente è vendere bene le proprietà. Se dobbiamo trasferirci, non è urgente, ma è opportuno farlo prima che i bimbi debbano andare a scuola ed inizino a fare amicizie: rimandare troppo significherebbe penalizzarli.
Dopo tre mesi succede l’insperato e vendiamo ed in gruppo ci trasferiamo al mare, su un’isola della Dalmazia: il croato è diverso dallo slovacco, ma non in maniera insormontabile; anche Mark ci segue, con due amici; e la nonna e Klaudia e Hana, l’altra sorellina di Lenka e naturalmente Marta e Pavol: vivremo tutti insieme in poliamore, saremo tra i quindici e i venti.

ED IO IN SEGUITO RACCONTERO’ IL SEGUITO












Mi piacerebbe davvero che qualche cineasta traesse dai racconti film atti a divulgare la cultura cuckold. Film, non pornofilm. Oggidì solo la cinematografia ha un adeguato impatto sulla cultura di massa e ne può mutare il sentire.
Published by CucPierino
4 years ago
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